Con sentenza 26 giugno 2014, n. 14552, la Corte di Cassazione ha stabilito che la scoperta di atti di frode da parte del debitore determina la revoca dell’ammissione al concordato ex art. 173 l.fall. anche nell’ipotesi in cui i creditori lo abbiano consapevolmente approvato.
Il caso
Una società ha chiesto l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, sottacendo una serie di atti di frode, che sono stati però scoperti dal commissario giudiziale e descritti nella propria relazione ex art. 172 l.fall.; i creditori, chiamati al voto, hanno approvato comunque la proposta, evidentemente ritenendo che essa (sebbene “contaminata” dall’occultamento degli atti fraudolenti) sia più soddisfacente delle alternative concretamente praticabili. La società ha chieste quindi l’omologazione, ma il Tribunale ha respinto la domanda, dichiarando il fallimento su istanza di uno dei creditori. La Corte d’Appello ha respinto il reclamo.
La questione
Si è dunque posta alla Suprema Corte la seguente questione:
La decisione
La Suprema Corte ha ritenuto che la risposta al quesito non dipenda dalla natura giuridica che si ritenga propria dell’istituto del concordato preventivo. Infatti, è pur vero che le recenti riforme hanno chiaramente accentuato il carattere privatistico del concordato (anche fallimentare), ma esso è rimasto pur sempre interessato da “evidenti manifestazioni di riflessi pubblicistici”, come già indicato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1521/2013.
Piuttosto, i giudici di legittimità hanno ritenuto che la soluzione della questione debba ricavarsi dalla disciplina di diritto positivo. Sotto questo profilo, l’art. 173 l.fall. porta a negare che il voto dei creditori abbia efficacia sanante, in quanto esso – ha rilevato la Corte – “ricollega immediatamente alla scoperta degli atti in frode il potere-dovere del giudice di revocare l'ammissione al concordato”.
In altre parole, il voto dei creditori potrebbe avere efficacia sanante solo in un sistema di diritto positivo che (anziché ricollegare immediatamente alla scoperta degli atti di frode la revoca dell’ammissione al concordato) imponesse di attendere l’esito del voto, consentendo che l’eventuale approvazione della proposta superi l’accertamento degli atti di frode. Sennonché tale sistema – ad avviso della Corte – non è quello che risulta dal vigente art. 173 l.fall., il quale invece non darebbe alcuno spazio al diritto dei creditori di approvare la proposta nonostante gli atti di frode.
La Suprema Corte, peraltro, è dell’avviso che la propria tesi sia confermata, sul piano sistematico, dal vigente art. 161, sesto comma, l.fall.; disposizione, quest’ultima, che – in tema di c.d. “concordato con riserva” – prevede la revoca per atti fraudolenti sin dalla fase ancora embrionale della procedura, senza dunque dare alcun rilievo alle eventuali opinioni di segno contrario dei creditori.
Il commento
La sentenza – che affronta un caso delicato anche dal punto di vista della politica del diritto – è stata subito salutata con favore da parte della dottrina (Fabiani), essendosi sottolineato che “la frode è materia delle regole del gioco” e “le regole del gioco vanno rispettate anche se i creditori ‘perdonano’ il debitore”.
Nella giurisprudenza di merito si segnala tuttavia almeno un precedente contrario (Trib. Piacenza, 4 dicembre 2008): i giudici emiliani avevano valorizzato come decisivo il fatto che i creditori fossero consapevoli degli atti di frode al momento del voto ed avevano pertanto escluso l’arresto della procedura.
L’orientamento è seguito anche da altra parte della dottrina (Censoni) la quale – sempre sulla scorta del principio del “voto informato”, cui la stessa Suprema Corte in altre occasioni aveva dato notevole importanza (Cass. 23 giugno 2011, n. 13817) – ritiene che l’art. 173 l.fall. possa trovare applicazione solo nelle ipotesi in cui i creditori abbiano votato all’insaputa degli atti di frode.
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Fabio Marelli, fabio.marelli@advant-nctm.com
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