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    18.05.2020

    L’espressione del voto in assemblea da parte del socio legalmente incapace


    Nell’articolo pubblicato sulla rivista Le Società n. 3/2020, Angelo Busani e Alessandro Currao analizzano il tema dell’autorizzazione giudiziaria per l’esercizio del diritto di voto nelle assemblee delle società di capitali da parte di soci legalmente incapaci valutando, da un lato, quali sono gli effetti che una determinata deliberazione assembleare produce e, dall’altro, quali sono le conseguenze che si producono nel patrimonio del socio incapace in dipendenza di tali effetti.

    1. Premessa. Autorizzazione giudiziale per il socio incapace

    In ogni caso in cui un soggetto legalmente incapace intenda acquisire la qualità di socio di una società che sia di persone o di capitali, bisogna individuare le autorizzazioni giudiziali necessarie per l’acquisto di quote di partecipazione al capitale sociale e, cioè, per la conclusione del negozio da cui consegue l’assunzione della qualità di socio, nonché per la partecipazione alla vita della società mediante la manifestazione della propria volontà o l’espressione del diritto di voto in assemblea.

     

    Si ricorda, anzitutto, che l’incapacità legale di agire è la situazione in cui si trova un soggetto che non possa validamente disporre della propria sfera giuridico-patrimoniale. È prevista in generale per i minori di età; per i maggiorenni, invece, deve essere disposta dall’autorità giudiziaria con una sentenza. Ciò può avvenire sia a fini di tutela di coloro che non sono in grado di provvedere ai propri interessi (interdetti giudiziali, nonché minori emancipati, inabilitati e beneficiari di amministrazione di sostegno), sia a fini sanzionatori (interdetti legali).

     

    Nell’analizzare il tema in questione, bisogna riportare la differente disciplina dettata con riguardo alle società di persone rispetto a quella prevista con riguardo alle società di capitali.

     

    Nell’ambito delle società di persone, il legislatore ha previsto il rilascio sia dell’autorizzazione per consentire all’incapace di acquistare le quote di partecipazione al capitale sociale sia di un’ulteriore autorizzazione per consentire all’incapace l’assunzione della qualifica di socio illimitatamente responsabile per le obbligazioni contratte dalla società (cfr. art. 2294 c.c.)

     

    Nell’ambito delle società di capitali, invece, non è dettata alcuna disciplina legislativa in materia di autorizzazione giudiziale all’esercizio dell’attività di impresa, essendo la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali limitata. Di conseguenza, per l’assunzione della qualità di socio, è sufficiente il solo rilascio dell’autorizzazione all’acquisto delle quote di partecipazione al capitale sociale.

     

    Ciononostante, resta aperto il problema dell’esercizio del diritto di voto in assemblea da parte del socio incapace. Non dettando la legge alcuna norma al riguardo, occorre comprendere se, al fine di esercitare validamente il diritto di voto, sia sufficiente che l’incapace intervenga in assemblea debitamente rappresentato o assistito ai sensi di legge oppure se sia anche necessario il previo rilascio di un’autorizzazione giudiziale all’espressione del voto.

     

    Con il fine di giungere ad indicare i criteri da seguire per individuare se e quando sia necessario ottenere il previo rilascio di un’autorizzazione giudiziale all’espressione del diritto di voto in assemblea, gli Autori richiamano le opinioni espresse in materia dalla dottrina nonché le decisioni assunte dalla giurisprudenza, seppur in alcune isolate pronunce, che hanno portato alla formazione di tesi assai contrastanti.

    2. Le opinioni della dottrina e della giurisprudenza: tesi contrastanti

    Secondo una prima tesi, è necessario distinguere tra ordinaria e straordinaria amministrazione: qualora un socio incapace dovesse esprimere il proprio voto in relazione a una deliberazione ritenuta essere un atto di ordinaria amministrazione, sarebbe sufficiente il rispetto delle norme dettate in materia di rappresentanza; qualora, invece, dovesse esprimere il proprio voto in relazione a una deliberazione qualificabile come atto di straordinaria amministrazione, occorrerebbe il preventivo rilascio di una specifica autorizzazione all’esercizio del diritto di voto da parte dell’autorità giudiziaria competente.

     

    Tale tesi, sostenuta da parte della dottrina[1] e avallata anche da talune pronunce della giurisprudenza di merito[2], è stata fermamente criticate da altra parte della dottrina[3] e giurisprudenza di legittimità[4]. È stato, difatti, negato che la distinzione tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione possa trovare applicazione in relazione alle operazioni societarie, potendosi al massimo tracciare una distinzione tra atti pertinenti e non pertinenti rispetto all’oggetto sociale delle società, tuttavia irrilevante in ordine al problema ivi analizzato.

     

    Secondo una diversa tesi, l’autorizzazione giudiziale al voto non è mai necessaria. L’argomentazione principale che si fonda proprio sull’assenza di una disciplina normativa al riguardo, porta a concludere che il socio incapace di una società di capitali può esprimere liberamente il proprio voto in assemblea, senza che vi sia mai la necessità di ottenere il preventivo rilascio di una autorizzazione giudiziale, purché intervenga in assemblea debitamente rappresentato. Per di più, il socio incapace avrebbe già ottenuto una implicita autorizzazione al voto quando è stato autorizzato a stipulare il negozio in forza del quale ha acquistato la qualità di socio.

     

    Tale impostazione, tuttavia, non tiene conto che in ambito societario vi sono una molteplicità di deliberazioni per la cui approvazione è richiesto il consenso unanime dei soci, nonché operazioni societarie i cui effetti incidono sulla sfera individuale dei singoli soci rispetto alle quali appare imprescindibile che il voto espresso dal socio incapace necessiti di una previa valutazione da parte dell’autorità giudiziaria competente.

     

    Infine, la tesi intermedia considera l’autorizzazione giudiziale al voto necessaria solo se la deliberazione possa avere un riflesso sulla sfera individuale dell’incapace. In particolare, l’espressione del diritto di voto in assemblea da parte di un socio incapace non necessiterebbe mai di alcuna autorizzazione, a meno che si tratti di votare proposte di deliberazione i cui effetti siano destinati a incidere sulla sfera individuale dell’incapace stesso.

     

    Tra le tesi richiamate, quest’ultima è reputata maggiormente condivisibile, seppur non permetta di individuare un valido criterio distintivo che consenta di pre-individuare quali siano le deliberazioni assembleari i cui effetti incidono sui diritti individuali del socio incapace.

    3. Un nuovo criterio: l’individuazione delle deliberazioni “patrimonialmente rilevanti” per il socio incapace

    L’analisi delle tesi sovraesposte e, in particolare, delle critiche che sollevano, hanno portato gli Autori all’elaborazione di un diverso modo di affrontare e risolvere la questione. Dalla stessa normativa sembra, difatti, potersi derivare che l’autorizzazione giudiziale sia prescritta ogni qualvolta si tratti di porre in essere, da parte dell’incapace, un’attività giuridica che comporti un’alterazione, in senso migliorativo o peggiorativo, della sua sfera patrimoniale.

     

    Di conseguenza, l’autorizzazione giudiziale al voto sarebbe necessaria tutte le volte in cui, valutate le conseguenze derivanti dall’approvazione di una determinata deliberazione, il patrimonio dell’incapace stesso ne risulti in qualche misura modificato.

     

    Partendo da questa premessa, è possibile effettuare nel seguito alcune considerazioni “generali”, e poi alcune “particolari”. Una prima considerazione generale porta ad individuare le deliberazioni che costituiscono causa di recesso: per valutare la necessità o meno del rilascio di un’autorizzazione al voto espresso dal socio incapace, bisogna verificare se, nel caso concreto, l’approvazione di una data deliberazione comporti o meno, in capo ai soci assenti, astenuti o dissenzienti, il riconoscimento del diritto di recesso dalla società.

     

    Un’ulteriore considerazione di ordine generale porta ad effettuare una distinzione tra le deliberazioni assembleari per la cui approvazione è richiesto un dato quorum e le deliberazioni assembleari che, invece, non possono essere approvate se non con il consenso unanime dei soci per le quali non pare esservi dubbio circa la necessità del rilascio di un’autorizzazione giudiziale affinché il socio incapace possa esprimere il proprio voto.

     

    Infine, si deve tener conto delle ipotesi in cui, nonostante non sia richiesto il consenso unanime dei soci per l’adozione di una data decisione, il voto espresso dal socio incapace può comunque risultare “determinante” per l’approvazione della deliberazione, con conseguente necessità di rilascio dell’autorizzazione giudiziale.

    4. L’indagine specifica di alcune deliberazioni assembleari

    Individuati i predetti criteri “generali”, gli Autori danno corso a un’indagine specifica con riguardo ad alcune tra le più rilevanti deliberazioni assembleari, con il fine di individuare quali siano gli effetti che discendono da ciascuna di esse e di valutarne l’impatto sul patrimonio del socio incapace.

     

    Con riferimento all’aumento del capitale sociale a pagamento, l’autorizzazione giudiziale si rende necessaria non tanto per l’esercizio del diritto di voto in assemblea, quanto per la successiva ed eventuale stipulazione del negozio di sottoscrizione dell’aumento di capitale e per l’effettuazione del relativo conferimento. In tal caso, è riconosciuto ai soci che non hanno consentito alla decisione il diritto di recesso; pertanto, il voto dell’incapace dovrebbe essere autorizzato per le considerazioni sopra formulate. Nel caso, invece, di aumento gratuito del capitale sociale, non vi è un successivo negozio di sottoscrizione e, pertanto, il voto dell’incapace non necessita di alcuna autorizzazione giudiziale, non verificandosi nel suo patrimonio alcun “patrimonialmente rilevante”.

     

    Con riferimento alla riduzione reale del capitale sociale, l’esercizio del diritto di voto in assemblea da parte del socio incapace non dovrebbe necessitare di alcuna autorizzazione giudiziale in quanto nella sfera individuale del singolo socio si produce unicamente la conseguenza del rimborso in denaro o della liberazione dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti. Laddove, invece, si deve procedere alla riduzione per perdite del capitale sociale il cui ammontare superi di almeno un terzo il valore nominale del capitale sociale, si distinguono due ipotesi: nel caso in cui si proceda per l’adozione di una deliberazione di riduzione del capitale sociale per un importo pari alle perdite registrate, non dovrebbe essere necessaria alcuna autorizzazione giudiziale per il voto del socio incapace, essendo una deliberazione imposta dalla legge per adeguare il valore nominale del capitale sociale alle perdite che già hanno intaccato il patrimonio della società. Nel diverso caso in cui l’assemblea sia stata convocata per deliberare non solo la riduzione del capitale ma anche il contemporaneo aumento del medesimo o, in alternativa, la liquidazione della società, si ripetono le argomentazioni riportate con riferimento alle delibere assembleari di aumento del capitale sociale.

     

    Con riferimento alla trasformazione, che costituisce una causa di recesso legale inderogabile in favore dei soci assenti, astenuti o dissenzienti, il voto in assemblea esercitato dal rappresentante del socio incapace necessita del previo rilascio dell’autorizzazione giudiziale. In caso di fusione, ove l’incapace sia socio di una società a responsabilità limitata, il voto espresso da parte di quest’ultimo nell’assemblea chiamata ad approvare un progetto di fusione, necessita del rilascio di un’apposita autorizzazione giudiziale in quanto è causa di recesso; ove, invece, l’incapace sia socio di una società per azioni, si ritiene che l’autorizzazione giudiziale al voto si renda necessaria solo qualora si intenda rinunciare ai termini o alla redazione di alcuno dei documenti prescritti dalla legge nell’ambito del procedimento di fusione perché in questi ultimi casi il socio incapace è chiamato a esprimere un vero e proprio consenso negoziale.

    5. L’autorità competente per il rilascio dell’autorizzazione al voto

    Individuati i principi generali che regolano la materia e analizzati i casi particolari, non resta che chiarire il tema dell’individuazione dell’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione al voto esercitato dal socio incapace.

     

    In applicazione del criterio delle deliberazioni “patrimonialmente rilevanti” ne consegue che, nell’ipotesi di un socio minorenne soggetto alla responsabilità genitoriale, il relativo ricorso deve essere presentato presso l’ufficio del giudice tutelare del luogo di domicilio del minore: in assemblea, pertanto, devono intervenire entrambi i genitori del minore, muniti della relativa autorizzazione rilasciata dal giudice tutelare.

     

    Nel caso di un socio minorenne sotto tutela oppure di un socio interdetto, il relativo ricorso deve essere presentato presso l’ufficio del giudice tutelare o del tribunale ordinario del luogo di domicilio dell’incapace: in assemblea pertanto, interviene solamente il tutore munito della relativa autorizzazione.

     

    Nel caso di un socio minorenne emancipato oppure inabilitato, il relativo ricorso deve essere presentato presso l’ufficio del giudice tutelare o del tribunale ordinario del luogo di domicilio dell’incapace. Il socio minorenne emancipato oppure l’inabilitato interviene in assemblea assistito dal suo curatore e munito della relativa autorizzazione giudiziale.

    Nel caso, infine, di un socio beneficiario di amministrazione di sostegno, è necessario, in primo luogo, analizzare il relativo decreto di nomina e valutata la necessità del rilascio di un’autorizzazione giudiziale, il relativo ricorso deve essere presentato all’ufficio del giudice tutelare del luogo di domicilio dell’incapace. Il socio beneficiario di amministrazione di sostegno interviene in assemblea assistito dal suo amministratore di sostegno.

     

     

     

    A cura di Avv. Tobia Cantelmo e Dott.ssa Lucia Piersimoni.

     

    Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare il vostro professionista di riferimento ovvero di scrivere al seguente indirizzo: corporate.commercial@advant-nctm.com.

     

     

     

    [1] Cfr., G. Romano Pavoni, Deliberazioni dell’assemblea delle società, Milano, 1951, 192; U. Grisenti, Note sull’articolo 2377, ultimo comma cod. civ. e sulle delibere implicite nelle società di capitali, in Riv. Società, 1968, 606.

    [2] Cfr. Trib. Terni, decreto 5 aprile 1962, in Casi e materiali di diritto commerciale. Società per azioni, II, Milano, 1974, 1152; App. Torino 15 ottobre 1992, in Giur. it., 1993, I, 2795.

    [3] Cfr., tra gli altri, E. Cudia, Il voto dell’incapace nelle assemblee delle società di capitali, in Vita not., 1988, 6, 1327; U. Natoli, In tema di limitazioni dei poteri di amministratori di società, in Banca, borsa, tit. cred., 1955, 357.

    [4] Cfr. Cass. 18 giugno 1987, n. 5353.

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