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    19.04.2017

    L’impresa multistakeholder secondo la disciplina della società benefit


     Il modello della società benefit

     

    La disciplina della società benefit, introdotta con la legge di stabilità 2016, e dedicata all’impresa societaria che include tra i propri obiettivi il perseguimento di risultati di beneficio comune, s’inserisce in un panorama multiforme di iniziative imprenditoriali variamente ispirate alla cura e alla protezione di interessi di rilevanza sociale. In tale scenario, accanto alle attività economiche strettamente non profit, connotate da esclusiva finalità sociale o culturale e dalla conseguente assenza dello scopo di lucro, il mondo delle imprese lucrative, da alcuni anni a questa parte, mostra crescente interesse per i temi di business ethics e per il tentativo di coniugare la finalità di profitto con impegni di responsabilità sociale, talora consacrando e formalizzando questo impegno in documenti a ciò dedicati (codici di condotta o codici etici) e comunicati al pubblico.

     

     

     

    Gli impegni di responsabilità sociale dell’impresa

     

    La motivazione dell’assunzione di simili impegni sta nella convinzione che l’impresa possa farsi autonomamente carico dell’impatto che la sua attività è in grado di produrre sugli interessi di soggetti terzi o della comunità in cui opera e che pertanto possa, in modo proattivo, affiancare al suo naturale orientamento al profitto la protezione di interessi di natura sociale, anche al di là di ciò che la legge prescrive, o possa comunque comunque rafforzare, attraverso iniziative positive, il risultato che la legge vuole assicurare a protezione del bene comune.

     

    Il vincolo di responsabilità sociale così concepito e assunto da numerose imprese profit, senz’altro apprezzabile sul piano etico, ha tuttavia sollevato non pochi problemi di carattere squisitamente giuridico laddove ha posto il problema di verificare la reale effettività di simili impegni, la loro azionabilità e le conseguenze giuridiche del loro inadempimento.

     

     

     

    Il bilanciamento di interessi nella prospettiva multistakeholder

     

    In primo luogo, stante l’ibridazione dello scopo dell’impresa che l’assunzione di impegni di responsabilità sociale procura, si pone il problema delle modalità e dei termini con cui effettuare il bilanciamento tra interessi eterogenei e molto spesso tra loro contrastanti.  Questa operazione pare richiedere, da un lato, un criterio di misurazione dotato di un minimo di certezza e verificabilità, dall’altro, quando l’impresa è costituita in forma societaria, l’accertamento dell’ammissibilità di una volontaria alterazione di quella causa lucrativa che è elemento caratterizzante i tipi societari conosciuti dalla legge. In tale contesto, connotato da numerose incertezze, il modello della società benefit pare voler risolvere parte di questi problemi, offrendo un modello ad hoc specificamente regolato, cui possono attingere quelle imprese lucrative che vogliano coltivare anche finalità di bene comune.

     

     

     

    Le nuove disposizioni sulla società benefit

     

    Le nuove disposizioni sono contenute nei commi 376-384 dell’art. 1 della legge 208/2015 dedicate a quelle società che “oltre allo scopo di dividere gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse”. La legge chiede che le finalità sopra elencate siano indicate specificatamente nell’oggetto sociale della società e siano perseguite mediante una gestione capace di bilanciare l’interesse di soci con l’interesse di “coloro sui quali l’attività sociale possa avere un impatto”, precisando che il “beneficio comune” è integrato sia dal perseguimento di effetti positivi, sia dalla riduzione di effetti negativi su una o più delle categorie sopra menzionate. La legge si pone inoltre il problema del controllo sull’autenticità di simili impegni e sul loro effettivo rispetto non tanto in relazione all’attribuzione di speciali vantaggi che, nel caso di specie, sono del tutto assenti, quanto a tutela dell’affidamento dei terzi sull’impegno sociale assunto dall’impresa, assoggettando la società benefit che non persegua finalità di beneficio comune alle disposizioni di cui al d. lgs. 145/2007 in materia di pubblicità ingannevole e alle disposizioni del Codice del consumo, affidando i relativi controlli all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (comma 384).

     

     

     

    Il bilanciamento di interessi e la valutazione d’impatto

     

    I pilastri della disciplina paiono risiedere anzitutto nella legittimazione della costituzione di una società benefit secondo uno dei tipi sociali di cui ai titoli V e VI del libro V del codice civile, con la connessa possibilità di bilanciare lo scopo di lucro con obiettivi di beneficio comune secondo regole e modalità definite nello statuto sociale (v. comma 380). A ciò si aggiunge la necessità di una valutazione d’impatto, attestante l’effetto delle azioni intraprese dalla società nel perseguire le finalità di beneficio comune (nei confronti di persone territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse) redatta in base a uno standard sviluppato da un ente indipendente, secondo procedure trasparenti e verificabili.

     

     

     

    La certificazione dell’impatto sociale dell’attività d’impresa

     

    Questa formula ricalca le soluzioni adottate nell’ordinamento nordamericano, dove un’analoga disciplina in tema di benefit corporation è stata introdotta nel 2010 in numerosi Stati e dove da tempo esiste un sistema di certificazione dell’impatto sociale delle attività d’impresa ad opera di un ente non profit specializzato (BLab). Se, tuttavia, la certificazione come BCorp presso certificatori accreditati non comporta di per sé l’assunzione della qualifica di società benefit, né in Italia, né negli ordinamenti in cui vige una omologa disciplina, ciò non di meno la normativa varata in Italia riconosce il ruolo di simili organismi certificatori almeno nella validazione degli strumenti di assessment dell’impatto sociale dell’attività di impresa, sul presupposto, verosimilmente, che tali criteri possano essere elaborati in modo appropriato solo da chi abbia acquisito un’esperienza consolidata in materia. La disciplina italiana, pertanto, pur essendo la prima in Europa ad aver introdotto un simile modello, potrà giovarsi della pregressa esperienza maturata nell’universo delle benefit corporation d’oltre oceano, almeno per quei profili che attengono alla selezione dei beni comuni rilevanti e alla valutazione/rendicontazione della loro effettiva protezione nello svolgimento dell’attività d’impresa.

     

     

     

    Disciplina comune e disciplina speciale della società benefit

     

    L’introduzione del nuovo modello nel contesto dei tipi societari di diritto comune dovrà adattarsi, ed essere in parte adattato, alle regole vigenti che troveranno applicazione nelle parti non regolate dalla disciplina speciale. La questione non è di poco conto. Anzitutto pare da escludere che la legge abbia voluto dare vita ad un nuovo tipo sociale. La società benefit è infatti concepita come una modalità o un “modello” di esercizio dell’impresa nell’ambito dei tipi sociali lucrativi e mutualistici previsti dal codice civile e di cui può assumere le forme. Tuttavia non si può non notare come la specialità dello scopo che connota il modello spurio o ibrido della società benefit e che lo distingue dai tipi lucrativi o mutualistici già noti, attenga specificatamente al profilo causale del contratto sociale, ciò che rende la società benefit una realtà profondamente “altra” rispetto ai tipi di cui al codice civile, con tutte le conseguenze che ne potranno derivare nell’attività di integrazione della disciplina speciale con le norme comuni del tipo sociale adottato (si pensi alla disciplina del conflitto d’interessi del socio o dell’amministratore, ai controlli sulla corretta gestione, alla disciplina della trasformazione).

     

     

     

    La governance della società benefit

     

    L’assunzione del modello della società benefit, inoltre, comporta effetti importanti sulla governance della società. Il comma 380 prevede infatti che la società benefit, fermo quanto disposto dalla disciplina del tipo sociale adottato, individui il soggetto responsabile dello svolgimento delle funzioni e dei compiti volti al perseguimento delle finalità di beneficio comune nelle sue possibili declinazioni. Prevede inoltre una specifica attività di rendicontazione annuale mediante la redazione di una relazione da allegare al bilancio che includa: 1) la descrizione degli obiettivi assunti, delle modalità e delle azioni attuate; 2) la valutazione di impatto secondo lo standard di valutazione esterno; 3) la descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire. Richiede pertanto indubbiamente un’articolazione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili coerente con l’assunzione di tale specifica missione, la cui realizzazione, purtuttavia, resta nella piena competenza degli amministratori, cui si estende il regime della responsabilità prevista dal codice civile nella disciplina di ciascun tipo. E non potrebbe essere diversamente, dal momento che l’amministrazione della società benefit deve essere condotta, per legge, all’insegna del predetto bilanciamento di interessi, secondo quanto disposto dalla prima parte del comma 380. Non è tuttavia del tutto chiaro se tali criteri debbano essere indicati dai soci o se siano gli stessi amministratori a poterli individuare nell’esercizio dei poteri discrezionali mediante i quali agiscono nel perseguimento dell’interesse sociale.  Pare però che questa operazione sia essenziale, anche per individuare il dosaggio delle rispettive componenti (lucro e bene comune) compresenti nell’interesse sociale, pena l’assoluta incertezza sulla valutazione dei risultati della gestione e sulla verifica del corretto adempimento dei doveri degli amministratori.

     

     

     

    La responsabilità degli amministratori nella società benefit

     

    Non pochi problemi potrebbe inoltre sollevare l’applicazione della disciplina comune in tema di responsabilità degli amministratori. Con riguardo alla legittimazione attiva al suo esercizio, ad esempio, la commistione di obiettivi profit e non profit nello scopo sociale e negli obblighi di gestione degli amministratori potrebbe rendere inadeguata o insufficiente la disciplina codicistica delle azioni di responsabilità contro gli amministratori di società di capitali (si potrebbe, ad esempio, porre il problema della legittimazione alla predetta azione dei titolari di quegli interessi terzi che l’impresa ha assunto come rilevanti: potrebbe a tal fine essere invocata l’azione ex art. 2395 c.c.?). Altrettanti problemi potrebbe sollevare la determinazione di un danno risarcibile non più solo identificabile nel decremento (o nel mancato incremento) del patrimonio sociale, ma altresì nella lesione di quegli interessi terzi pregiudicati dal mancato o scorretto bilanciamento dell’interesse al bene comune con l’interesse al profitto.

     

     

     

    Le società “diverse” dalla società benefit e gli impegni di responsabilità sociale

     

    Una qualche ulteriore ambiguità potrebbe essere riservata dal comma 379, in cui il legislatore distingue la società benefit dalle società “diverse” che pur vogliano perseguire anche finalità di beneficio comune, per le quali fissa l’obbligo di modificare in modo coerente l’atto costitutivo e lo statuto, nel rispetto delle norme che regolano il tipo sociale adottato. Non è chiaro se il legislatore abbia in tale sede semplicemente voluto regolare l’assunzione della qualifica di società benefit da parte di una preesistente società di diritto comune. Se così fosse, il senso della norma sarebbe verosimilmente quello di imporre solo il rispetto delle regole in tema di modifiche statutarie, escludendo l’applicazione della disciplina della trasformazione. In alternativa si dovrebbe ipotizzare che legislatore abbia invece voluto soltanto autorizzare le società di diritto comune che non intenda assumere le forme della società benefit, a derogare all’esclusività dello scopo di lucro di cui all’art. 2247 c.c., fissando in capo ai soci la competenza a decidere in tal senso mediante una modifica dell’atto costitutivo o dello statuto e obbligando alla relativa pubblicità. Se così fosse, questa precisazione sarebbe senz’altro benemerita, dato che molti impegni di responsabilità sociale finora assunti da società lucrative hanno trovato sede in documenti non vincolanti (codici di condotta o codici etici, ad esempio) peraltro redatti dall’organo amministrativo che mai potrebbe determinare in autonomia i propri obiettivi derogando all’obbligo di perseguire la creazione di valore per i soci, imposto come obbligo esclusivo dalla disciplina dei tipi sociali di diritto comune. Vi è da osservare, tuttavia, che, anche ove l’inclusione di impegni in senso lato sociali sia rimessa ai soci e consacrata nello statuto, la società non potrà non dotarsi di regole ulteriori, atte a misurare i risultati della gestione così configurati e il dosaggio delle rispettive componenti sugli obiettivi di performance degli amministratori.

     

     

     

    Scenari applicativi e interpretativi delle nuove disposizioni in relazione ai temi della CSR

     

    In ogni caso, indipendentemente dall’interpretazione della norma che si voglia accogliere, pare che la disciplina della società benefit possa comunque aprire più scenari interpretativi, stante la possibile persistenza di realtà societarie che vogliano assumere impegni di responsabilità sociale senza adottare il modello della società benefit. Se quindi un ambito di riflessione importante sarà quello dedicato al modello oggetto della specifica disciplina che verosimilmente sarà adottato soprattutto da società c.d. low profit, e cioè da imprese lucrative (o mutualistiche) che sono altresì specificamente e primariamente impegnate nel perseguimento di finalità sociali, culturali o umanitarie, per altro verso si porrà il problema di come la disciplina speciale possa influenzare la selezione delle regole applicabili alle società di diritto comune che vogliano includere un impegno sociale nel loro statuto senza necessariamente assumere le forme della società benefit.

     

     

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