di Nicol Degli Innocenti
Un salvagente alle imprese, dimostrazione del pragmatismo britannico e della disponibilità di Londra ad andare incontro al business in un momento difficile. Oppure una scelta forzata dovuta alla mancanza di preparazione e alla carenza di doganieri. Oppure ancora uno specchietto per le allodole, una misura temporanea per blandire le imprese che preferirebbero invece un buon accordo commerciale con la Ue. Ci sono opinioni diverse nel mondo del business sul cambiamento di strategia britannica annunciato ieri. Per le tante imprese italiane che esportano in Gran Bretagna, però, è una boccata di ossigeno.
I controlli "morbidi" alla frontiera per sei mesi nel 2021 faciliteranno soprattutto le imprese che trattano merci fresche particolarmente soggette a ispezioni e vulnerabili a ritardi. Il settore agroalimentare italiano, secondo fornitore del Regno Unito dopo la Francia con 3,4 miliardi di euro di prodotti esportati lo scorso anno, si stava preparando a un nuovo, arduo regime di controlli in dogana, nuove norme sulla sicurezza alimentare, variazioni delle etichette e così via. L'annuncio di Londra equivale a una sospensione della pena.
«L'annuncio britannico facilita le imprese italiane, ma sarà solo una misura temporanea -, spiega Massimo Carnelos, capo dell'Ufficio economico e commerciale dell'Ambasciata d'Italia a Londra -. Inoltre sicuramente non sarà reciprocato da parte Ue, e questo creerà una disparità di condizioni che potrebbe costringere la Gran Bretagna a fare marcia indietro».
Per molti imprenditori italiani i vantaggi dell'operare in Gran Bretagna sono comunque superiori agli svantaggi di Brexit. «I controlli soft alla frontiera sono un'ottima notizia per noi, dimostrazione che la Gran Bretagna è una nazione di mercanti pragmatici e di buon senso -, afferma Chiara Medioli, group marketing director e vicepresidente del gruppo Fedrigoni -. Noi intendiamo restare nel Regno Unito anche in caso di no deal, perché il nostro business è in fase di grande sviluppo e la supply chain è rimasta in piedi anche durante il lockdown».
L'apprezzamento per il pragmatismo britannico anche nei momenti difficili è condiviso da un'altra imprenditrice italiana in un settore del tutto diverso. «Brexit mi preoccupa molto per l'impatto che potrà avere sulle capacità di sviluppo e di ripresa del Paese e anche perché l'isolamento non fa bene a nessun business -, spiega Sabrina Corbo, Ceo di Green Network Energy -. L'abbinamento Brexit-Covid-19 sarà una tempesta perfetta, ma sono convinta che alla fine il senso pratico degli inglesi e la chiarezza delle regole smusserà gli angoli».
Le chance di un'uscita senza accordo della Gran Bretagna dalla Ue a fine anno sono aumentate in seguito all'annuncio definitivo di Londra ieri che non chiederà un allungamento del periodo di transizione oltre il 31 dicembre.
«Un no deal apre un periodo di incertezza, che è il peggiore dei mali, soprattutto in combinazione diabolica con il virus - afferma Pietro Maria Tantalo, partner dello studio legale Nctm -. Però le solide e valide ragioni per cui un'azienda italiana viene a Londra non vengono certo meno. Si tratterà di adattarsi a nuove regole, ma il mercato comunque non si chiuderà».
Superati i sei mesi di introduzione graduale dei controlli alle frontiere britanniche nel 2021, resta comunque la prospettiva di aggravi burocratici, dazi, tariffe e standard diversi. Il futuro preoccupa le imprese italiane di ogni dimensione, ma le più penalizzate saranno le Pmi.
«Ci sono molte piccole e micro-imprese italiane che hanno il Regno Unito come unico mercato di esportazione e in caso di dazi o adempimenti burocratici onerosi potrebbero essere costrette a desistere -, spiega Carnelos -. È importante però non sottovalutare mai la capacità di adattamento degli imprenditori italiani».
Tratto da Il Sole 24 Ore