Con una recente sentenza [1], la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha fornito interessanti chiarimenti sull’onere della prova gravante in capo al compratore che intenda far valere la garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c. cod. civ..
Sino al 2013 sul tema non vi erano incertezze giurisprudenziali relativamente all’applicabilità del principio secondo cui, nelle azioni di garanzia per i vizi della cosa venduta, l’onere della prova dei difetti e delle eventuali conseguenze dannose, nonché dell’esistenza del nesso causale tra i primi e le seconde, gravasse sul compratore che faceva valere la garanzia.
Tuttavia, con sentenza n. 20110 del 20 settembre 2013, la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione ha ritenuto che tale assunto non fosse più sostenibile alla luce della posizione adottata dalle Sezioni Unite, le quali, con sentenza n. 13533/01, avevano unificato la disciplina dell’onere della prova dell’inadempimento dell’obbligazione nelle azioni di adempimento contrattuale, di risoluzione contrattuale e di risarcimento dei danni da inadempimento. La sentenza n. 13533/01 ha, infatti, stabilito che il creditore - sia che agisca per l’adempimento, sia che agisca per la risoluzione contrattuale, sia che agisca per il risarcimento del danno - deve provare soltanto la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte; grava invece sul debitore convenuto l’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
L’indirizzo espresso dalla Cassazione con la menzionata sentenza n. 20110/2013 non veniva uniformemente seguito dalle successive pronunce della Suprema Corte, creandosi così il contrasto interpretativo in relazione al quale si sono espresse le Sezioni Unite con la sentenza in commento.
Le Sezioni Unite sono state, infatti, chiamate a chiarire se, in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, il compratore che eserciti l’azione redibitoria ed estimatoria sia, o meno, gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi.
Si tratta di una vicenda interessante in quanto la Suprema Corte, attraverso il percorso argomentativo che esamineremo, è giunta ad escludere che trovi applicazione il modello di distribuzione dell’onere probatorio delineato dalla decisione delle Sezioni Unite n. 13533 del 2001, per la quale il creditore dovrebbe provare solo la fonte del proprio diritto, limitandosi ad allegare la circostanza dell’inadempimento del debitore.
Al fine di dirimere il contrasto insorto, le Sezioni Unite hanno inteso, innanzitutto, verificare la correttezza del presupposto su cui si fonda il ragionamento espresso con la pronuncia n. 20110/13, ossia che la consegna di una cosa viziata costituisca inesatto adempimento di una obbligazione del venditore.
La Corte ha preso le mosse dall’analisi delle obbligazioni principali del venditore di cui all’articolo 1476 c.c., ovvero (i) consegnare la cosa al compratore; (ii) far acquistare al compratore la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto; (iii) garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa. Ha poi evidenziato che la disciplina dell’obbligazione di consegna prevede che la cosa venga consegnata “nello stato in cui si trovava al momento della vendita” (art. 1477 c.c., comma 1), senza alcun riferimento alla immunità della stessa da vizi.
Procedendo ad analizzare l’obbligazione di cui all’art. 1476 c.c., n. 3, di garanzia dell’evizione e dai vizi della cosa, il Collegio ha chiarito che la disciplina della compravendita non pone a carico del venditore nessun obbligo di prestazione relativa all’immunità della cosa da vizi. All’obbligo di garantire il compratore dai vizi della cosa, non corrisponde, infatti, alcun dovere di comportamento del venditore in funzione del soddisfacimento dell’interesse del compratore e non è dunque possibile concepire la garanzia per vizi come oggetto di un dovere di prestazione.
La consegna della cosa viziata costituisce, nella lettura delle Sezioni Unite, non l’inadempimento di un’obbligazione, ma l’imperfetta attuazione del risultato traslativo promesso.
Su queste premesse, il presupposto su cui si basa l’orientamento, secondo il quale la consegna di una cosa viziata costituirebbe inesatto adempimento di una obbligazione del venditore, non può, secondo la Corte, essere tenuto fermo.
Pertanto, la disciplina della ripartizione dell’onere della prova tra venditore e compratore nelle azioni edilizie non può ritenersi compresa nell’ambito applicativo dei principi fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 13533/01.
Dunque, il contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalle Sezioni Unite enunciando il seguente principio di diritto: “in materia di vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi”.
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[1] Cass., SS.UU., 3 maggio 2019, n. 11748