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    30.03.2018

    Modificazione dei <i>quorum</i> deliberativi e diritto di recesso


    1. Il caso di specie

    La fattispecie alla base della pronuncia della Corte di Cassazione riguardava una S.p.A. il cui capitale sociale era in origine detenuto da due soci, i quali possedevano rispettivamente il 60% e il 40% delle azioni; lo statuto della società, inoltre, prevedeva per l’assemblea straordinaria maggioranze qualificate di due terzi del capitale sociale sia in prima che in seconda convocazione. Tale previsione statutaria non consentiva la modificazione dello statuto senza il concorso di entrambi i soci, in un regime che finiva per essere unanimistico.

     

    Alla morte del socio in possesso del pacchetto di minoranza, gli eredi scioglievano la comunione in cui erano cadute le azioni, dividendola in quattro pacchetti suscettibili di autonomo godimento. Dopo tale cambiamento della compagine sociale, grazie ad un accordo tra il socio di maggioranza e uno dei soci-eredi, l’assemblea era in grado di modificare lo statuto e di ridurre i quorum deliberativi, riportandoli a quelli previsti dalle disposizioni del codice civile (artt. 2368 e 2369).

     

    I tre soci dissenzienti esercitavano il diritto di recesso, invocando la disposizione dell’art. 2437, lett. g), c.c., che prevede la possibilità di recedere per coloro che non hanno concorso a delibere assembleari riguardanti “le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione”. La società resisteva contestando l’applicabilità della disposizione stessa al caso di specie.

     

    Il Tribunale di Bergamo accoglieva la domanda dei tre soci dissenzienti, mentre la Corte d’appello di Brescia ribaltava il giudizio disconoscendo il diritto di recesso reclamato; a seguito di ciò, i soccombenti ricorrevano dinanzi alla Suprema Corte.

     

     

    1. L’art. 2437 c.c. e la disciplina del recesso

    È utile premettere che la disposizione in esame si inserisce all’interno di una complessiva rivisitazione della disciplina del recesso del socio da parte del d.lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003. La riforma ha inteso ampliare l’operatività del diritto di recesso, facendo risultare inattuale l’approccio interpretativo inizialmente seguito dalla giurisprudenza, che faceva invece leva sul carattere di tassatività della previsione legale e sul fatto che il recesso comportasse un depauperamento della società ed una lesione agli interessi dei creditori.

     

    Secondo quanto prevede l’art. 2437 quater c.c., infatti, gli amministratori liquidano il socio recedente attraverso l’offerta delle azioni dello stesso in opzione agli altri soci o a terzi, ovvero mediante l’acquisto delle azioni da parte della società.

     

    È solo nel caso di assenza di utili e riserve disponibili per l’acquisto delle azioni che si procederà alla riduzione del capitale sociale o allo scioglimento della società; in questo modo la riduzione del capitale sociale è solo una possibile conseguenza del recesso.

     

    Tornando alla lettera dell’art. 2437, lett. g), c.c., il significato dell’espressione “le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione” si presta a diverse interpretazioni. La dottrina, in merito, si divide tra chi adotta interpretazioni più restrittive e chi invece adotta interpretazioni più estensive, convergendo sul solo rilievo che la formulazione in discorso presenti un certo carattere di ambiguità.

     

    La Corte di Cassazione ritiene che la delibera che ha mutato il quorum per le assemblee straordinarie, riconducendolo alla previsione legale, non rientri nel caso della lett. g) dell’art. 2437 c.c., poiché non   comporta una modificazione neppure indiretta dei diritti di voto o di partecipazione (questi ultimi da intendersi come soli diritti di natura economica).

     

    Il giudice di legittimità riporta degli esempi, chiarendo come inciderebbe direttamente sul diritto di voto una deliberazione che trasformasse azioni senza diritti di voto in azioni con diritti di voto o che modificasse l’ambito degli argomenti riguardo ai quali il diritto di voto può essere esercitato. Nel caso di modificazione del quorum, invece, i diritti di voto nel loro assetto statutario non sono modificati, né direttamente né indirettamente: ciò che eventualmente viene a mutare è il “peso” del voto, ma il diritto di voto commisurato alle azioni rimane immutato. I ricorrenti infatti lamentavano, in buona sostanza, che la deliberazione avesse intaccato il regime unanimistico e che gli stessi non sarebbero più stati in grado di condizionare le scelte della società.

     

    Tuttavia, nella disciplina di cui alla lett. g) dell’art. 2437 c.c., l’esercizio del diritto di recesso del socio non è collegato ad un qualche pregiudizio per lo stesso, ma deriva dal dato oggettivo dell’intervenuta modificazione del diritto di voto. A conferma di ciò la Suprema Corte rileva che il legislatore ha disciplinato espressamente i casi in cui il diritto di recesso è conseguente ad un più sfavorevole trattamento della posizione del socio, come nel caso dell’art. 2497 quater c.c., che prevede il recesso del socio nel caso di alterazione sensibile delle condizioni economiche e patrimoniali della società.

     

     

    3. Conclusioni

    La Corte di Cassazione arriva perciò ad escludere il diritto di recesso dei soci ex art. 2437, lett. g), c.c., confermando l’esito del giudizio in fase di appello, poiché nessuna modificazione dei diritti di voto e di partecipazione si è verificata tramite la delibera che ha modificato il quorum assembleare riportandolo a quello previsto dalle disposizioni di legge. Tuttavia, vi arriva attraverso un percorso argomentativo diverso da quello seguito dalla Corte bresciana, che aveva sostenuto (i) l’interpretazione restrittiva della norma nell’ottica di evitare un depauperamento della società, (ii) il verificarsi di una lesione indiretta del diritto di voto, come tale estranea alla sfera applicativa della disposizione normativa.

     

    La Suprema Corte afferma, invece, che nel caso di specie non sia corretto parlare di incidenza non solo diretta, ma anche indiretta sul diritto di voto. Vero è che la deliberazione assembleare che modifica il quorum deliberativo ha una ricaduta sfavorevole sulla posizione del socio di minoranza, ma ciò rappresenta un fatto del tutto estraneo alla fattispecie designata dal legislatore, che fa riferimento ad una modificazione oggettiva del diritto di voto previsto dallo statuto.

     

    La Cassazione rileva da ultimo che, a fondamento della lettura estensiva del diritto di recesso - disattesa dalla stessa Corte - sta la preoccupazione che la maggioranza possa abusare dei propri poteri. Tuttavia, essa chiarisce come il carattere abusivo di una deliberazione che ha ricondotto la previsione statutaria a quella legale sia da escludere fino a prova contraria.

     

     

     

     

     

     

     

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