La Cassazione stabilisce con la sentenza 19 febbraio 2016, n. 3324 che i pagamenti non autorizzati possono comportare la revoca ex art. 173 l.fall. dell’ammissione al concordato preventivo solo se si risolvono in effettivo pregiudizio per i creditori.
Il caso
Una società in concordato preventivo eseguiva, in corso di procedura, vari pagamenti relativi a crediti anteriori alla domanda di ammissione al concordato. Il Tribunale di Messina, con provvedimento poi confermato dalla Corte d’Appello, revocava il concordato preventivo e dichiarava il fallimento. Avverso il provvedimento della Corte d’Appello di Messina è stato promosso ricorso in Cassazione.
La questione
La questione sottoposta alla Corte di Cassazione attiene alla revocabilità del concordato ex art. 173 l. fall. nell’ipotesi in cui il debitore abbia compiuto, in corso di procedura, pagamenti non autorizzati dal tribunale ai sensi dell’art. 182-‐quinquies l.fall.
In assenza di una disposizione che specificamente disponga questa conseguenza (come invece l’art. 161, ottavo comma, in caso di inadempimento degli obblighi informativi, ovvero dall’art. 163, terzo comma, in caso di mancato deposito delle spese della procedura) il tema riguarda la possibile intepretazione estensiva dell’art. 173, terzo comma, l.fall. là dove dispone per il caso di compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del giudice delegato di cui all’art. 167 l.fall.
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha ricondotto i pagamenti di crediti anteriori alla domanda di concordato agli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, stabilendo tuttavia che ciò comporta la revoca del concordato solo nell’ipotesi in cui, nel caso specifico, siano qualificabili anche come atti di frode alle ragioni dei creditori. La tesi, secondo i giudici di legittimità, è più aderente all’attuale disciplina del concordato preventivo, alla luce del favor del legislatore per le soluzioni negoziali della crisi d’impresa.
La decisione del Suprema Corte si fonda su tre distinti argomenti:
Commento
L’interpretazione offerta dalla Cassazione consente di dare rilievo dal punto di vista oggettivo ai pagamenti quali “atti non autorizzati a norma dell’art. 167 l.fall.” ma solo in quanto riconducibili ad unafinalità tesa a “frodare le ragioni dei creditori” così come previsto dall’art. 173 l.fall.: finalità peraltro non necessariamente intesa in senso soggettivo, potendo assumere rilievo ostativo della revoca l’utilità economica in concreto dei pagamenti per le ragioni dei creditori.
La Corte ha affermato un principio condivisibile, che cerca di attenuare la conseguenza dell’automatica revoca dell’ammissione al concordato, prevalente nella giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Modena 13 luglio 2015; Trib. Venezia 18 settembre 2014; Trib. Lecco 3 gennaio 2014; Trib. Ancona 4 dicembre 2013;
Trib. Firenze 14 novembre 2013; Trib. Pesaro 26 luglio 2013; contra Trib. Rovigo 26 maggio 2015 in ragione dell’esiguità degli importi e App. Venezia 30 gennaio 2014 in considerazione del miglior soddisfacimento dei creditori, in linea con l’odierna decisione della Cassazione), offrendo una interpretazione evolutiva centrata sul principio del “miglior soddisfacimento dei creditori” con un’argomentazione suscettibile di orientare l’interprete verso una maggiore flessibilità applicativa anche in una prospettiva più generale.
È da apprezzare l’orientamento della Suprema Corte che mira ad evitare che un concordato preventivo possa essere revocato a causa di pagamenti di esigua entità, magari effettuati per semplice inconsapevolezza, così come opportuno è avere escluso un’interpretazione antitetica, che neghi sempre la possibilità di revoca.
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