La Corte di Cassazione (n. 4915 del 27 febbraio 2017) ha ribadito che il Tribunale può sindacare la «causa concreta» del concordato preventivo, interpretando in senso estensivo il criterio della assoluta, manifesta inettitudine del piano del debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Il caso
Il Tribunale di Vibo Valentia ha dichiarato l’inammissibilità di un concordato preventivo a ragione del fatto che il piano e la relazione di attestazione avevano manifestato eccessivi profili di genericità, tali da far escludere la fattibilità della proposta, con particolare riferimento al momento esecutivo della prevista riorganizzazione con altre costituende società operanti anche in joint venture con un gruppo industriale internazionale.
Il Tribunale ha quindi dichiarato il fallimento, che è stato poi revocato dalla Corte d’Appello di Catanzaro a seguito di reclamo. È seguito il ricorso per cassazione.
La questione
La pronuncia della Suprema Corte tratta la questione dell’ambito di possibile valutazione nel merito della proposta e del piano concordatari da parte dell’autorità giudiziaria, alla luce delle elaborazioni giurisprudenziali seguite alla nota decisione di Cass. SS.UU. n. 1521/2013.
La decisione della Corte
La Suprema Corte ha cassato la decisione della corte calabrese richiamando il noto insegnamento di Cass. SS.UU. n. 1521/2013 secondo cui:
(i) il controllo di fattibilità da parte del Tribunale non è escluso dall’attestazione del professionista, mentre spetta ai creditori la valutazione del merito e, quindi, della probabilità di successo del piano e dei rischi inerenti;
(ii) la valutazione della «effettiva realizzabilità della causa concreta» comporta che – per ammettere il debitore alla procedura – il Tribunale (non solo possa, ma) debba verificare la non manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, nell’ambito di una proposta che risulti plausibile.
Nel caso di specie, la proposta e il piano corredati dalla relativa attestazione, che prevedevano una riorganizzazione societaria con nuove compagini non ancora esistenti e delle quali non erano neppure stati tratteggiati non solo i business plan, ma neppure le bozze degli atti costitutivi, sono stati giudicati talmente generici e incerti e, quindi, da ricadere nell’ambito della manifesta assoluta irrealizzabilità del piano.
Commento
L’individuazione nel caso di specie della «causa concreta» del concordato, dettato dalla Cass. SS.UU. n. 1521/2013, era stato meglio precisato da successive pronunce, in termini di «inidoneità della proposta, se emergente ‘prima facie’, a soddisfare in qualche misura» tutti i creditori (cfr. Cass. 4 maggio 2016, n. 8799) e di «assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati» (Cass. 9 agosto 2016, n. 16830).
Questi principi sono stati applicati dai giudici di merito in modo non uniforme.
Da un lato, secondo App. Torino 17 aprile 2014, il Tribunale deve limitarsi a constatare ciò che si può sicuramente escludere possa verificarsi, mentre non può addentrarsi in valutazioni in merito a ciò che può o meno verificarsi, per quanto le probabilità possano considerarsi ridotte o aleatorie nel merito.
Al contrario Trib. Pavia 14 ottobre 2016 ha ritenuto che la valutazione di «causa concreta» (in un caso di concordato con continuità aziendale «diretta») possa essere effettuata anche nel caso in cui il piano appaia non attuabile in termini di elevata probabilità. In senso analogo, in punto di inammissibilità della proposta condizionata ad eventi futuri, generici e incerti cfr. anche Trib. Treviso 1° giugno 2016.
Il tema destinato forse a rimanere irrisolto è quello dell’impossibilità di definire aprioristicamente i termini della manifesta irrealizzabilità del piano, in relazione all’apprezzamento del singolo caso concreto. Solo l’interpretazione più rigorosa sopra richiamata sembra effettivamente poter fornire un indirizzo netto rispetto ai termini della valutazione del Tribunale.
Con la decisione qui commentata la Cassazione sembra offrire un nuovo spunto, riconducendo la valutazione di fattibilità direttamente ad un profilo formale attinente alla formulazione del piano, per il caso in cui difettino sufficienti specificazioni in merito alle operazioni da svolgere da parte del debitore e di terzi soggetti coinvolti ed alle relative modalità attuative. Si tratta di criterio analogo a quello previsto per il sindacato, in termini di completezza ed esaustività, della relazione del professionista attestatore e che può quindi essere accolto. Il rischio è solo che ciò, da un lato, si possa tradurre in criteri troppo rigorosi dal punto di vista formale e, dall’altro, che sia così consentito al Tribunale di compiere una valutazione di merito in via «mediata», attraverso il contenuto del piano.
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