Il contesto Covid, specialmente dopo il primo lockdown, quando il Governo ha predisposto forme di sostegno a determinate categorie professionali, ha fatto riemergere la questione in tutta la sua complessità: come si inquadra nel nostro ordinamento la figura professionale dell’artista? In effetti, il caso italiano è caratterizzato da una tendenziale fumosità di questo argomento, motivo per cui, specialmente nell’ultimo anno, si sono intensificate le energie intellettuali per cercare di dare una risposta chiara e soprattutto contemporanea a questa domanda. Come dimostra l’impegno di Alessandra Donati e Franco Broccardi, un’avvocatessa e un commercialista esperti in materia artistica, che tra le altre cose stanno sostenendo le iniziative di Art Workers Italia, la prima associazione di categoria degli artisti. Ne abbiamo parlato con loro.
Giuridicamente parlando, chi è un artista per il nostro ordinamento?
«Benché fin dal 2007 il Parlamento Europeo abbia richiesto agli stati membri dell’Unione europea di adottare misure volte a uniformare e tutelare la professione artistica, la figura professionale dell’artista è ancora solo marginalmente e sommariamente delineata nel nostro ordinamento. Si tratta piuttosto di una professionalità riconosciuta a livello sociale, attraverso le regole del mercato dell’arte, mentre manca una disciplina organica che individui a livello sostanziale, organizzativo e fiscale una specifica professionalità. Se nell’ambito del diritto d’autore la mancanza di una distinta definizione costituisce elemento positivo, dal punto di vista fiscale e previdenziale, invece, sarebbe necessaria l’individuazione di una specifica categoria professionale. Il diritto d’autore, infatti, non individua prerogative per la qualificazione dell’autore in quanto artista, essendo l’attivazione della tutela del diritto d’autore giustamente svincolata da riconoscimenti esterni, corporativi o di certificazione accademica: il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione di lavoro intellettuale e si considera autore colui che viene indicato come tale. Dal punto di vista fiscale, invece, la normativa si limita a prevedere che l’artista possa rientrare nella categoria dei lavoratori autonomi».
Quali sono i requisiti per definire una professione? E i vantaggi di una professione riconosciuta?
«È indubbio che l’attività degli artisti visivi, così come tutta la filiera che ne discende, abbia caratteristiche peculiari e uniche e che quindi necessiti di un percorso regolamentare autonomo.
Spesso si sente equiparare il riconoscimento della professione artistica con l’introduzione di un codice Ateco più specifico dell’attuale “altre creazioni artistiche e letterarie” in cui, molto genericamente, si fa riferimento all’attività di artisti individuali quali scultori, pittori, cartonisti, incisori, acquafortisti, aerografisti, così come a tutti coloro che si occupano della stesura di “manuali tecnici e della consulenza per l’allestimento di mostre di opere d’arte”. Tale classificazione non presuppone né fonda il riconoscimento di una specifica professionalità: è un qualcosa tutto da costruire ed è un percorso che stiamo portando avanti supportando AWI, Art Workers Italia, la neonata associazione che raggruppa gli artisti per dare forma a un organo rappresentativo della categoria. Non si tratta di costituire un albo né di porre barriere all’entrata, ma creare un “luogo di appartenenza”, un’associazione, un “sindacato” se vogliamo, tramite il quale arrivare a un riconoscimento anche formale di una professione.
Il requisito non è in un codice Ateco, lo ribadiamo, ma nella capacità di assunzione di responsabilità verso il proprio mestiere. Una professione riconoscibile all’esterno, riconosciuta in quanto tale, ha la possibilità, per non dire il dovere, di svolgere azioni lobbistiche a difesa della categoria, di far valere l’aumento del proprio “peso specifico” nelle contrattazioni economiche e nella formazione di standard contrattuali, di difendere i diritti di una moltitudine di protagonisti culturali che troppo spesso non hanno la possibilità di parlare con una voce sola e forte. Nel contempo tutto questo comporta obblighi di trasparenza di cui non si potrà non tenere conto».
Cosa serve alla professione artistica per essere riconosciuta e tutelata in quanto tale?
«La necessità di una rappresentanza giuridica per gli artisti visivi è un fatto reale: non può esserci riscontro economico e lavorativo se non si viene percepiti come portatori di valore. Senza la percezione di questo valore, che passa in primo luogo dalla definizione di ciò che si è, diventa difficile poter emergere. Si tratta di rimarcare una professionalità che si traduce in chiarezza dei rapporti lavorativi, con tutto ciò che questo comporta: una richiesta di trasparenza che sostituisca l’invisibilità e che permetta a nuovi artisti di crescere come soggetti economici».
Uno strumento funzionale a consolidare la professione dell’artista, sotto il profilo giuridico, fiscale e sociale, dovrebbe essere il contratto. Esiste una disciplina omogenea in questo ambito?
«L’artista, il gallerista e il collezionista concludono i loro affari nel mercato italiano dell’arte con una stretta di mano e con un generico affidamento della reciproca considerazione di attendibilità: la prassi degli scambi è altamente informale. Alla regolamentazione della creazione artistica, nei suoi aspetti di tutela e di circolazione, si applicano le regole e gli istituti generali del diritto, non vi è una considerazione specifica per i contratti che hanno ad oggetto in modo distinto le opere d’arte: i tipi di contratto del codice civile sono stati concepiti per il trasferimento e l’utilizzazione di merce in genere.
La figura professionale dell’artista, solo marginalmente delineata nel nostro ordinamento, risulta poco responsabilizzata anche a causa della scarsa chiarezza che la stretta di mano riesce a comunicare e assicurare: in particolare risultano spesso poco chiare nel rapporto con il gallerista le modalità di finanziamento delle opere, il tipo di legame che vincola l’artista a una galleria, la regolamentazione delle condizioni di esclusiva, così come la definizione del termine di durata del contratto. La scelta del regolamento contrattuale, invece, è la presa di coscienza della complessità della relazione tra i contraenti, producono come effetto il riconoscimento dei limiti del potere contrattuale di ciascuno e, dunque, contribuiscono a creare una necessaria quanto opportuna chiarezza di ruoli. Il contratto scritto è utile per l’artista, che, attraverso l’individuazione dei propri diritti e obblighi, può imporsi un’organizzazione del lavoro adeguata alla propria professionalità e, allo stesso tempo, fruire di uno strumento adatto per tracciare e mantenere un legame con la vita della propria opera; è utile all’opera d’arte, che riceve dallo scambio di indicazioni delle parti una tutela più specifica per la conservazione e il restauro , basti pensare alla fondamentale proposta del Pacta, i protocolli di certificazione per la autenticità, cura e tutela dell’opera contemporanea (adottato dalla DGAAP con circolare 7/2017, già strumento di valore in questo senso); il contratto in forma scritta, poi, costituisce adempimento richiesto dallo stesso legislatore per la gestione dei diritti di utilizzazione economica. La formalizzazione degli equilibri contrattuali, la formalizzazione dei ruoli e la divisione di rischi, costi e vantaggi economici concorrono a fornire maggior chiarezza in ordine al ruolo professionale di ciascuno dei contraenti. Per AWI stiamo proprio lavorando alla definizione di modelli contrattuali utili in questo senso».
Qual è l’importanza di un archivio per un artista?
«Aver organizzato un archivio significa aver organizzato la propria produzione in modo professionale, significa investire nel futuro: un archivio ben strutturato costituisce per il mercato la garanzia della corretta e autentica identità della produzione dell’artista. L’archivio ha conquistato una funzione centrale nel contesto del mondo e del mercato dell’arte perché non costituisce solo fonte di informazione e conoscenza, autorevole riferimento per la ricostruzione della vita e della personalità di un artista e della genesi della sua opera, ma in quanto oggi è divenuto, anche, un imprescindibile strumento di identificazione e di garanzia della sua produzione autentica».
La configurazione giuridica della professione comporterebbe una diversa responsabilità tributaria? Attualmente l’unico onere osservato è il regime iva. Cosa potrebbe cambiare?
«Un riconoscimento professionale non comporta di per sé la modifica di uno status fiscale, ma certamente ne aiuterà l’inquadramento, eliminando le zone d’ombra legate a professioni “non altrove classificabili”. L’iva in ambito artistico, peraltro, è uno degli argomenti di discussione che ciclicamente torna a galla. Affrontarlo con una voce unica potrebbe portare a un ascolto più attento dato a un comparto economico finalmente organizzato e percepito come affidabile.
Più importanti potranno essere i riflessi contributivi: il riconoscimento giuridico significherà eliminare pratiche “non occasionali”, ma anche poter accedere a servizi di tutela sociale finora non raggiungibili. Un risultato da non sottovalutare, come abbiamo potuto verificare nell’ultimo anno».
Molte volte gli artisti sono i primi a essere poco edotti e preparati su queste tematiche. Quanto pesa questo gap?
«Enormemente. Chiaramente parliamo di un universo variegato in cui convivono buone pratiche e noncuranza, importanti artisti strutturati e altri molto meno. Di certo la mancanza di una casa comune, di una associazione di categoria che ne sappia coordinare le diverse anime e farsi portavoce del settore ha contribuito a un passato di indifferenza politica con tutto ciò che ne consegue. Il tema del riconoscimento e della rappresentanza, proprio per questo, non è più rinviabile».