Oggi ci intratteniamo su un tema di grande interesse per tutte le società che operano in Italia pur non avendovi stabilito una sede. Si pensi alle numerose holding stabilite in un altro Stato dell’UE o all’estero, il cui personale svolge attività in Italia. Con sentenza del 31 gennaio 2017, il Tribunale Penale di Lucca si è pronunciato in merito all’applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. 231/2001[1] agli enti stranieri, ragionando in particolare sulla possibilità di assoggettare alla giurisdizione italiana società straniere che in Italia non dispongano di alcuna sede, principale o secondaria.
In data 29 giugno 2009, un treno merci composto da 14 carri cisterna trasportanti GPL deragliava con cinque vagoni, provocando così una fuoriuscita di GPL.
L’incendio così divampato provocò trentadue morti e numerosi feriti gravi, nonché il grave danneggiamento delle infrastrutture ferroviarie, dei veicoli e delle abitazioni adiacenti alla stazione ferroviaria.
La causa del sinistro veniva accertata nella rottura di un componente del treno chiamato “carrello anteriore”.
In considerazione del fatto che la ricostruzione fattuale risulta particolarmente complessa, per i fini che qui rilevano, occorre evidenziare che:
Per le condotte appena descritte, veniva avviato un procedimento penale a carico, tra l’altro, di amministratori e dirigenti di tutte le società coinvolte, per i reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. [2].
Veniva altresì contestato a tali società l’illecito amministrativo derivante dalla violazione di norme a tutela della salute e sicurezza del lavoro ai sensi dell’art. 25-septies del d.lgs. 231/2001 [3].
In particolare, con riferimento a tale ipotesi di responsabilità amministrativa delle società, le disposizioni prevenzionistiche – assunte dal Tribunale come violate e fondanti le condotte colpose di cui agli artt. 589 e 590 c.p. – venivano ricondotte a due generali categorie:
Nella propria decisione, il Tribunale di Lucca ha ritenuto, pertanto, che i contestati reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. erano aggravati dalla violazione della normativa prevenzionistica. Ciò in quanto, nel caso di specie, erano state fornite alla società riparatrice componenti meccaniche difettose da parte delle società straniere che, quindi, non avevano ottemperato ai propri obblighi sub a) e b).
Il Tribunale, di conseguenza, ha considerato integrati i presupposti per l’applicazione della normativa di cui al d.lgs. 231/2001, condannando tutte le società di diritto straniero e assolvendo, invece, due delle società italiane dall’accusa di cui all’art. 25-septies del d.lgs. 231/2001, per aver correttamente adottato un modello di organizzazione e gestione [4].
Come ricordato dal Tribunale nella sentenza in commento, esistono due distinte tesi in merito all’applicabilità agli enti stranieri del d.lgs. 231/2001.
Secondo una possibile interpretazione, l’applicabilità del d.lgs. 231/2001 può ritenersi esclusa per le società straniere senza stabile organizzazione in Italia in quanto, in assenza di disposizioni specifiche al riguardo, non sarebbe possibile assoggettare enti di diritto straniero alle leggi italiane. Aderendo a tale prospettazione, quindi, nessuna responsabilità potrebbe essere ravvisata, nel caso di specie, alle società austriaca e tedesca, in considerazione del fatto che le loro carenze gestionali ed organizzative si sarebbero eventualmente verificate oltre il confine nazionale.
La seconda tesi trae invece spunto da alcune pronunce giurisprudenziali [5], secondo cui il d.lgs. 231/2001 sarebbe applicabile anche ad imprese non italiane, a prescindere dal fatto che le stesse abbiano o meno una sede secondaria o uno stabilimento in Italia. Tale teoria muove dal principio di imperatività della norma penale (ex art. 3 c.p.) e trova ulteriore fondamento nella normativa di cui al d.lgs. 231/2001: se la normativa in parola si applica espressamente agli enti con sede principale in Italia, anche se il reato è commesso all’estero, a maggior ragione va incriminato l’ente che realizzi il reato in Italia a prescindere dalla propria nazionalità.
Il Tribunale, aderendo a quest’ultima tesi, ha declinato alcuni importanti principi, affermando –tra l’altro– che: (i) le imprese straniere sono soggette alla legge italiana per il semplice fatto di operare sul territorio nazionale; (ii) affinché l’ente straniero sia responsabile ai sensi del d.lgs. 231/2001 è sufficiente che anche soltanto una parte della condotta si realizzi sul territorio italiano oppure che si verifichi in Italia l’evento che è conseguenza dell’azione/omissione.
Infine, come sopra accennato, il Tribunale ha affermato che i reati contestati erano aggravati dalla violazione della normativa prevenzionistica ritenendo, da un lato, l’applicabilità della normativa di cui al d.lgs. n. 81/2008 anche al settore del trasporto ferroviario e, dall’altro, la sussistenza degli obblighi di prevenzione e sicurezza come tutela non solo per i lavoratori, ma anche per le persone estranee all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile un nesso causale tra l’infortunio e la violazione della disciplina vigente in materia di obblighi di sicurezza.
La sentenza in esame ci pare importante poiché ha ribadito che la responsabilità amministrativa da reato di cui al d.lgs. 231/2001 può sussistere anche in capo a società straniere non aventi sede né principale né secondaria in Italia.
A tale conclusione si è pervenuti applicando il principio di imperatività della norma penale sulla scorta del quale una società, seppur straniera, è tenuta al rispetto della legge italiana per il semplice fatto di operare sul territorio nazionale.
Pertanto, tutti gli enti che operano, tramite il proprio personale, sul territorio italiano dovrebbero valutare l’opportunità di adottare modelli organizzativi ai sensi del d.lgs. 231/2001 al fine di scongiurare di incorrere nelle relative responsabilità con i connessi rischi sanzionatori.
Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.
Per ulteriori informazioni contattare Virginia Paparozzi
[1]Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (“d.lgs. 231/2001”) ha introdotto nel nostro ordinamento una peculiare forma di responsabilità amministrativa degli enti, comprese le società di capitali, di cui abbiamo più volte parlato in questa Newsletter. Ci limitiamo, quindi, in breve, a ricordare che il d.lgs. 231/2001 prevede sanzioni, pecuniarie (fino a circa 1.500.000 euro) e interdittive (ad es. revoca di autorizzazioni; divieto di fare pubblicità ecc.), a carico degli enti nel cui interesse o vantaggio siano commessi determinati reati (ad es. reati di corruzione; reati societari; reati in materia HSE; ecc.). Il fondamento di tale responsabilità è individuato nella c.d. “colpa organizzativa” ossia nell’incapacità dell’ente di dotarsi di un assetto organizzativo tale da evitare la commissione dei predetti reati. Questo elemento consente di comprendere il motivo per cui la punibilità è esclusa qualora l’ente, tra l’altro, abbia adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione dei reati della specie di quello verificatosi e abbia nominato un organismo di vigilanza con il compito, appunto, di vigilare sul funzionamento e l’aggiornamento del modello.
[2]Trattasi, rispettivamente, dei reati di omicidio colposo e di lesioni personali colpose.
[3]L’art. 25-septies d.lgs. 231/2001 (rubricato “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”) prevede che “In relazione al delitto di cui all’art. 589 c.p. […] si applica la sanzione pecuniaria pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive [...] per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. […] In relazione al delitto di cui all’art. 590, co. 3, c.p., commesso in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote […]”.
[4]Come anticipato nella nota sub 1, al fine di non incorrere in responsabilità ai sensi della disciplina di cui al d.lgs. 231/2001 l’ente deve dotarsi di un modello organizzativo interno, idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.
[5]Si veda al riguardo Cass. Pen., Sez. VI, n. 37895/2004 “Caso Siemens” e Trib. Penale di Milano del 28/10/2004.