La natura dell'uso esclusivo in ambito condominiale - inconfigurabilità del c.d. "diritto reale di uso esclusivo"
Le Sezioni Unite si sono pronunciate [1] sulla natura dell’uso esclusivo in ambito condominiale e, in particolare, sulla possibilità di qualificare il godimento esclusivo di una porzione condominiale da parte di uno dei condomini quale c.d. «diritto reale di uso esclusivo».
In primo luogo, è stata esclusa la riconducibilità del c.d. diritto reale di uso esclusivo nell’alveo applicativo del c.d. «diritto d’uso» e della regola del c.d. «farne parimenti uso» di cui all’articolo 1021 [2] c.c., anche ove declinata nell’uso frazionato o turnario. Questo in quanto: «Un diritto reale di godimento di uso esclusivo, in capo ad un condomino, di una parte comune dell’edificio, privando gli altri condomini del relativo diritto di godimento, e cioè riservando ad essi un diritto di comproprietà svuotato del suo nucleo fondamentale, determinerebbe (…) un radicale, strutturale snaturamento di tale diritto, non potendosi dubitare che il godimento sia un aspetto intrinseco della proprietà, come della comproprietà: salvo, naturalmente, che la separazione del godimento della proprietà non sia il frutto della creazione di un diritto reale di godimento normativamente previsto».
Del pari, è stata negata la possibilità di far ricadere il c.d. «diritto reale di uso esclusivo» nella disciplina dettata per l’uso esclusivo dei lastrici solari ex art. 1126 [3] c.c., sul presupposto che: «Qualora l’esegesi dell’atto induca a ritenere che l’attribuzione abbia effettivamente riguardato (…) non la proprietà, sia pure in veste «mascherata», ma il c.d. «diritto reale di uso esclusivo» su una parte comune, ferma la titolarità della proprietà di essa in capo al condominio, è da escludere che un simile diritto, con connotazione di realità, possa trovare fondamento nell’articolo 1226 c.c.».
In secondo luogo, le Sezioni Unite hanno affrontato, seppur brevemente, le ipotesi di concessione a singoli condomini di un godimento apparentemente non paritario e, riconoscendo l’eccezionalità di tali previsioni, hanno escluso la possibilità che le stesse possano comportare delle modificazioni strutturali alla comproprietà delle parti comuni in favore del titolare dell’uso. Il medesimo approccio è stato adottato, mutatis mutandis, nella disamina dell’articolo 6, secondo comma, lettera b), del decreto legislativo 20 maggio 2005, n. 122 [4], nei termini che seguono: «È parimenti priva di fondamento la tesi, talora affermata, secondo cui un riconoscimento legislativo degli usi esclusivi, tali da determinare una modificazione del diritto di comproprietà, potrebbe desumersi dall’articolo 6, secondo comma, lettera b), del decreto legislativo 20 maggio 2005, n. 122, che obbliga il costruttore a indicare nel contratto relativo a futura costruzione le parti condominiali e le "pertinenze esclusive".».
La Corte si è soffermata altresì sulla impossibilità di includere il c.d. «diritto reale di uso esclusivo» nell’ambito delle servitù prediali, sul presupposto che «è del tutto evidente che, se ad un condomino spettasse a titolo di servitù l’«uso esclusivo» di una porzione di parte comune, agli altri condomini non rimarrebbe nulla, se non un vuoto simulacro». Per quanto minima una possibilità di utilizzo del bene deve permanere in capo al titolare del fondo servente.
Infine, la Suprema Corte ha ritenuto che la creazione di un c.d. «diritto reale di uso esclusivo» di matrice negoziale risulti immediatamente ostacolata dai principi cardine dei diritti reali: in particolare quello inerente la tipicità dei diritti reali. Principio che, del resto, neppure è negato dalle previsioni in materia di proprietà di cui all’articolo 42 [5] della Costituzione, così come dalle previsioni della normativa comunitaria che, ai sensi dell’articolo 345 TFUE, lascia «del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri». Del resto, come affermato dalla medesima Corte [6]: «il principio di tipicità legale necessaria dei diritti reali (…) si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelle previste dalla legge, né possono modificarne il regime. Ciò comporta che i poteri che scaturiscono dal singolo diritto reale in favore del suo titolare sono quelli determinati dalla legge e non possono essere validamente modificati dagli interessati (Cass. 26 febbraio 2008, n. 5034)».
In conclusione, le Sezioni Unite hanno affermato che: «La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. «diritto reale di uso esclusivo» su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’articolo 1102 [7] c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità degli stessi».
Ex quo che occorre verificare dal titolo negoziale se al momento di costituzione del condominio le parti non abbiano voluto trasferire la proprietà ovvero, costituire un diritto reale d'uso ex art. 1021 c.c. a norma dell’art. 1419 [8] c.c.. Diversamente, la previsione con cui è stato costituito un diritto reale di uso esclusivo, al ricorrere dei presupposti normativi per la conversione del contratto nullo [9], sarà sostituita con la concessione di un uso esclusivo e perpetuo tra le parti di natura obbligatoria.
Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare Luigi Croce o Elena Granati.
[1] Ordinanza del 2 dicembre 2019, n. 31420, con cui la seconda Sezione Civile della Suprema Corte ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, sia per esigenza di composizione di contrasto, che per la particolare importanza della questione relativa alla natura dell’«uso esclusivo» in ambito condominiale.
[2] Art. 1021 c.c., «Uso»: «[I] Chi ha il diritto d’uso di una cosa può servirsi di essa e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia. [II] I bisogni si devono valutare secondo la condizione sociale del titolare del diritto.».
[3] Art. 1126 c.c., «Lastrici solari di uso esclusivo»: «Quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che non ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.».
[4] «Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della legge 2 agosto 2004, n. 210, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 155 del 6 luglio 2005».
[5] «laddove esso pone una riserva di legge in ordine ai modi di acquisto e, per l'appunto, di godimento, oltre che ai limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, senza che la funzionalizzazione della proprietà offra alcun sensato argomento che spinga nel senso della configurabilità di diritti reali limitati creati per contratto».
[6] Cfr. Cass., SS. UU., 17 dicembre 2020, n. 2897.
[7] Art. 1102 c.c., «Uso della cosa comune»: «[I] Ciascun partecipante puo' servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.[II] A tal fine puo' apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non puo' estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.».
[8] Art. 1419 c.c. «Nullità parziale»: «[I]. La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità [13412, 13543, 1519-octies, 2265].[II]. La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative [1339, 1501, 1573, 16794, 18152, 19322, 19622, 20662, 20772, 21153].».
[9] Art. 1424 c.c. «Conversione del contratto nullo»: «[I]. Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma [607, 2701], qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità [1367].».