Il Tribunale di Pavia (14 ottobre 2016) nega l’omologazione del concordato approvato dai creditori ritenendo che il piano, alla luce delle verifiche del commissario, appare manifestamente inidoneo a perseguire il risanamento economico ed il riequilibrio finanziario dell’impresa
Il caso
Una società immobiliare, a seguito dell’approvazione dei creditori, chiede l’omologazione di una proposta di concordato preventivo con continuità aziendale c.d. «diretta», secondo cui le risorse per soddisfare i creditori sono costituite da ricavi generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa. Il Commissario Giudiziale nelle proprie relazioni ex art. 172 ed art. 180 l.fall. espone le serie criticità riscontrate circa la fattibilità della proposta e del piano di concordato. In particolare, l’andamento economico e finanziario della società durante la procedura concordataria si erano rivelate incompatibili con quanto preventivato dalla ricorrente e, ad una valutazione prognostica, lontane dalla concreta attuabilità successivamente all’omologa.
Le questioni
La questione riguarda i limiti delle valutazioni che il Tribunale può svolgere in sede di omologazione. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la valutazione sulla «fattibilità economica» compete ai creditori, purché adeguatamene informati, mentre compete al Tribunale la valutazione dei profili giuridici di ammissibilità della proposta e quindi di «fattibilità giuridica» della stessa. Il tema riguarda in particolare la possibilità che il Tribunale – a fronte di una ritenuta non attuabilità dal punto di vista economico e finanziario della proposta e del piano concordatari – possa negare l’omologazione del concordato ritenendo che difetti la «causa concreta» del concordato, rientrante nel novero della «fattibilità giuridica».
La decisione del Tribunale
Il Tribunale, rilevato che la manifesta non attuabilità del piano concordatario fosse tale da vanificare in concreto la stessa causa del concordato con continuità aziendale, ha rigettato la domanda di omologazione. La motivazione del Tribunale può essere così sintetizzata:
Commento
La nota decisione della Cassazione a Sezioni Unite n. 1521 del 23 gennaio 2013 costituisce il leading case sui limiti del sindacato del Tribunale: in sede di giudizio di ammissibilità, revoca ed omologazione al Tribunale spetta il controllo di legittimità sulla fattibilità della proposta di concordato (c.d. «fattibilità giuridica») mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine alla probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti (c.d. «fattibilità economica»). Il controllo di legittimità si realizza mediante la verifica «dell'effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato» da intendersi come obiettivo specifico dipendente dal tipo di proposta, ma comunque finalizzato al superamento della crisi e ad assicurare un soddisfacimento, anche parziale, dei creditori chirografari. La Cassazione ha in seguito meglio precisato che il Tribunale può riconoscere il difetto della «causa concreta» del concordato in caso di «inidoneità della proposta, se emergente ‘prima facie’, a soddisfare in qualche misura» tutti i creditori (cfr. Cass. 4 maggio 2016, n. 8799) e di «assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati» (Cass. 9 agosto 2016, n. 16830). Il punto è quindi quello dei margini di effettiva valutazione delle circostanze del caso concreto al fine di poter escludere la «causa concreta» del concordato: il principio è che il Tribunale non può compiere alcun sindacato nel merito, perché «di fronte alla manifesta irrealizzabilità del piano, invero, non c'è da effettuare valutazioni» (Cass. 6 novembre 2013, n. 24970). Il Tribunale deve quindi limitarsi a constatare ciò che si può sicuramente escludere possa verificarsi, mentre non può addentrarsi in valutazioni in merito a ciò che può o meno verificarsi (così App. Torino 17 aprile 2014), per quanto le probabilità possano considerarsi ridotte o aleatorie nel merito.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Pavia, dalla motivazione sembra emergere che si trattasse in realtà di un caso in cui si verteva in tema di limitatissima probabilità, piuttosto che di assoluta impossibilità di realizzazione delle previsioni del piano. Il caso non è molto dissimile da quello esaminato da Cass. n. 24970/2013: perdite gestionali significative, mancanza di impegni cogenti da parte delle banche per l'apporto di nuova finanza, mancanza di garanzie circa previste dismissioni di immobili, mancanza di copertura del fabbisogno concordatario nell’orizzonte temporale del piano sono tutti aspetti che la Corte aveva giudicato di «carattere valutativo».
Resta il fatto che la «manifesta irrealizzabilità» è comunque inerentemente una valutazione di merito piuttosto che giuridica ed è quindi soggetta ad ineliminabili margini di apprezzamento nel caso concreto.
Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale. Per ulteriori informazioni contattare Fabio Marelli, fabio.marelli@advant-nctm.com
Per ricevere la nostra newsletter restructuring scrivete a: restructuring@advant-nctm.com