Il Tribunale di Firenze (2 novembre 2016) ha confermato che il debitore può conservare parte dell’attivo, in un’ottica di favore verso il risanamento dell’impresa ed in deroga ai principi della responsabilità patrimoniale
Il caso
Una società ha presentato una domanda di concordato c.d «misto», fondato su una componente liquidatoria relativa al patrimonio non funzionale all’esercizio dell’impresa ed un’altra in continuità «diretta», con la conservazione dei beni sociali funzionali alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale.
Un creditore si è opposto all’omologazione del concordato, contestando l’insufficiente attribuzione ai creditori delle utilità generate dalla gestione dell’impresa.
La questione
Nella forma più comune di proposta di concordato, conformata secondo lo schema della cessione dei beni, tutto il patrimonio dell’imprenditore è destinato ai creditori nel rispetto delle cause legittime di prelazione. Il concordato con continuità aziendale, invece, non prevede la liquidazione dei beni, che vengono conservati dal debitore per generare con l’esercizio dell’attività di impresa i flussi futuri da attribuire ai creditori.
La decisione del Tribunale
Il Tribunale di Firenze ricorda innanzitutto che la giurisprudenza che ha escluso una destinazione solo parziale del patrimonio del debitore al soddisfacimento dei creditori – con riferimento al concordato di tipo liquidatorio ed in relazione al principio della responsabilità patrimoniale del debitore sancito dall’art. 2740 c.c. – ha richiamato proprio la possibilità che il debitore possa conformare la proposta alllo schema di cui all’art. 186-bis l.fall., il quale prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa con possibile liquidazione dei beni a ciò non funzionali: nel concordato con continuità «diretta» il debitore non è quindi tenuto a liquidare tutto il proprio patrimonio, ma può conservare i beni necessari all’esercizio dell’attività di impresa.
Quanto al tema dell’attribuzione ai creditori di tutte le risorse generate dalla continuazione dell’attività, il Tribunale ricorda che il concordato con continuità aziendale è figura strutturalmente e funzionalmente ben distinta rispetto al concordato liquidatorio e costuisce una modalità di soddisfazione dei creditori che si attua in modo alternativo rispetto all’alienazione del patrimonio del debitore: la finalità perseguita dal legislatore di consentire il risanamento e la conservazione dell’impresa giustifica la deroga al principio di responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. ed il debitore può dunque conservare parte delle risorse generate dall’esercizio dell’attività d’impresa, onde assicurare una patrimonializzazione sufficiente e comunque porre condizioni adeguate a prevenire future situazioni di crisi.
Al debitore è richiesto di garantire ai creditori un trattamento economico più vantaggioso rispetto alla liquidazione del patrimonio (concordataria o fallimentare), che costituisce l’alternativa alla prosecuzione dell’attività. Il termine di paragone deve poi riferirsi alle ipotesi concretamente praticabili e non a tutte quelle in astratto percorribili, in quanto ciò richiederebbe uno sforzo incompatibile con la stretta tempistica dello stato di crisi.
Il Tribunale di Firenze ha rigettato l’opposizione e, rilevato che la proposta concordataria soddisfa il requisito del miglior soddisfacimento dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria, ha omologato il concordato.
Commento
La pronuncia in commento si segnala per il rilievo attribuito in motivazione al principio di cui all’art. 2740 c.c., ferma la migliore soddisfazione dei creditori rispetto allo scenario liquidatorio: il concordato preventivo è mezzo di attuazione della garanzia patrimoniale, ma questa va considerata in riferimento ai soli valori di liquidazione.
Ampliando la prospettiva, come ha osservato la dottrina più avvertita (Fabiani, “La residualità del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo”), nell’angolo visuale della continuità aziendale il dogma della garanzia patrimoniale nel concorso dei creditori sul patrimonio deve essere ripensato. Secondo questa analisi, pienamente condivisibile, il punto di caduta è rappresentato dal valore del patrimonio effettivamente realizzabile nell’alternativa liquidatoria, ma le risorse generate dalla prosecuzione dell’attività possono essere distribuite secondo criteri che non realizzano rigidamente la par condicio ed anche a beneficio del debitore, a condizione che ciò garantisca il miglior soddisfacimento dei creditori: ciò considerato che il nuovo sistema delle proposte concorrenti di concordato consente ai creditori di contrastare la proposta del debitore e rende quindi contendibile e disponibile il surplus derivante dalla continuità.
Si prestano quindi ad essere rimeditati criticamente gli orientamenti che ancora si registrano con posizioni di netta chiusura, come in una recente pronuncia del Tribunale di Milano del 15 dicembre 2016, secondo cui «la prosecuzione dell’attività di impresa in sede concordataria non può comportare il venir meno della garanzia patrimoniale del debitore» e non è «consentito azzerare in sede concordataria il rispetto delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.), che è un corollario della responsabilità patrimoniale, principio che viene meno solo a seguito delle attività liquidatorie poste in essere in sede di vendite coattive».
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