Quale riforma del sistema giudiziario chiedere al governo Draghi? Quali rimedi porre alla lunghezza dei processi e all’incertezza della legge che rallentano, fino a bloccarli, gli investimenti in Italia? Ecco le risposte emerse dalla seconda edizione di MF Italian Legal Week.
Giustizia, imprese, infrastrutture, sanità. Partendo da questi snodi cruciali si è tenuto il secondo appuntamento organizzato da MF/ MilanoFinanza e rivolto all’ampia e articolata comunità degli studi legali e degli avvocati, degli esperti e dei consulenti in questioni di diritto e di business, dei docenti in materie giuridiche e dei politici. E proprio la politica ha offerto un incrocio strategico quando, nel corso della conferenza di apertura sul tema Giustizia, quale riforma sarà accettata in Europa, Andrea Cabrini, direttore di ClassCnbc, ha interrotto il dialogo tra i relatori per seguire in diretta l’ingresso al Quirinale di Mario Draghi, chiamato dal Presidente Sergio Mattarella per il mandato esplorativo che ha portato poi pochi giorni dopo l’ex Presidente della Banca centrale europea, e già Governatore della Banca d’Italia ad assumere la carica di Presidente del Consiglio e al cambio del responsabile del ministero della Giustizia, da Alfonso Bonafede a Marta Cartabia.
Proprio sul tema della riforma della giustizia si era aperta la crisi di governo come ha evidenziato nei saluti iniziali Paolo Panerai, Editor in chief e Ceo di Class Editori: «Sulla giustizia è maturato il maggior attrito per l’ultimo governo e noi non possiamo non occuparcene, perché il rapporto tra giustizia ed economia è imprescindibile». Il tema è stato approfondito nell’intervento dell’Avvocato generale della Corte di giustizia europea Giovanni Pitruzzella: «Dobbiamo renderci conto che il sistema giuridico è al centro del Next Generation Eu, perché la riforma della giustizia è un nodo chiave del Recovery Fund. Ma in realtà parlo di riforma del sistema giuridico, perché sono tre le componenti: la riforma dell’amministrazione, la riforma delle modalità con cui si produce il diritto e la riforma della giustizia in sé» (sintesi dell’intervento a pagina 9).
Ecco quindi fare ingresso sulla scena gli avvocati corporate che operano in Italia, e per l’Italia. Non a caso il sottotitolo dei tre giorni di lavoro era La professione legale nella ricostruzione d’Italia e il ruolo fondamentale degli avvocati e il più ampio problema della giustizia è stato affrontato senza troppi giri di parole. «Lo dico con amore verso il Paese, ma la giustizia in Italia non funziona. Le imprese che vengono da fuori chiedono solo una cosa: poche regole, semplici e chiare», ha commentato Denis Delespaul, Presidente della Camera di commercio francese in Italia. Ancora più incisivo è stato Jörg Buck, consigliere delegato della Camera di Commercio ItaloGermanica: «C’è un vero e proprio danno al sistema Paese: la lunghezza dei processi fa perdere all’Italia circa 2,5 punti di Pil, pari a circa 40 miliardi di euro. Sarebbe tutto prodotto interno lordo in più se solo l’Italia riuscisse ad allinearsi ai tempi della giustizia di altri Paesi europei. Alcuni studi calcolano anche un aumento dell’occupazione del 3% con una giustizia più veloce. In sostanza, si tratta di usare l’occasione del Recovery Plan per accelerare la riforma della giustizia, affrontando problemi che sono endemici del sistema italiano. Questo non solo per migliorare il funzionamento del sistema giudiziario, ma anche la situazione economica».
Anche per Antonio Matonti, Direttore Affari Legislativi di Confindustria, «il problema in ambito civile sono i tempi e la qualità della giustizia e bisognerà concentrarsi bene su due ambiti: quello fiscale e quello concorsuale. Nel penale, invece, il tema principale sono le garanzie, perché abbiamo del tutto smarrito il senso della sanzione penale come extrema ratio, con effetti molto negativi nell’ambito della certezza del diritto». Occorre quindi agire su aspetti organizzativi per quanto riguarda il civile, ma «anche su aspetti normativi per quanto riguarda il penale», ha proseguito Matonti. «Assistiamo a un inasprimento della risposta sanzionatoria, anche in fase cautelare, e restando al tema legato alle dinamiche di impresa, il rischio è quello di paralizzare o ledere in modo irreparabile l’attività di imprese magari oneste, alla prova dei fatti, 008-013 Libro Legal.indd 8 23/03/21 10:47 9 sulla base di elementi probatori spesso precari o che si rivelano inconsistenti». Le recenti modifiche introdotte nella legge fallimentare e le misure introdotte per contrastare gli effetti della pandemia sul sistema delle imprese erano due altri temi in analisi.
Per un futuro più digitale
Lo studio legale del futuro sarà più grande e tecnologico, non ha necessariamente una sede fisica e gli avvocati interagiscono nella loro quotidianità grazie alle soluzioni dell’IA, l’intelligenza artificiale. Uno scenario messo in luce dalla pandemia di Covid-19, che ha però solo accelerato una tendenza già in atto verso la digitalizzazione della professione. È quanto emerso durante l’evento Milano-New York, la pandemia e le richieste dei clienti, conferenza di apertura della seconda giornata della MF Italian Legal Week 2021 di Class Editori, trasmessa dal canale Class Cnbc. «Quello che è emerso nell’anno appena concluso», ha detto George Psiharis, Direttore operativo di Clio, «è che alcuni studi hanno messo a segno un 40% dei ricavi per avvocato in più rispetto ai competitor». Le ragioni sono essenzialmente tre, tutte intrecciate con l’universo della digitalizzazione. «Primo», ha ricordato l’esperto, «il rafforzamento del customer relationship management. Secondo, la creazione di portali di collaborazione col cliente, per un’interazione sicura ed elettronica di comunicazioni e scambio dei documenti. E terzo, la possibilità di effettuare i pagamenti online».
Per i professionisti intervistati da Clio la necessità di una sede fisica appare sempre più marginale: un fattore che potrebbe favorire i piccoli player. Ma la situazione è più complessa: «Vivere senza una sede», ha argomentato Ugo Ruffolo, ordinario di diritto civile all’Università di Bologna e avvocato a Roma, Milano e Bologna, «può funzionare per gli studi più grandi, mentre quelli piccoli rischiano di scomparire». La soluzione è di ampliare le soluzioni digitali, puntando sulla formazione di figure intermedie, «i paralegali tecnologici, che diano supporto agli studi con l’uso delle tecnologie più avanzate». Per questo, secondo il docente, si sta verificando una situazione per cui «il nuovo universo rende la dimensione minima di accesso più alta».
Sempre più spazio dovrà essere dedicato all’adozione delle intelligenze artificiali, che diventeranno un sostegno indispensabile alla professione. «L’avvento dell’IA», ha continuato Ruffolo, «sta mutando le attività umane, consentendo ai legali di fare un salto in avanti nell’orientarsi in mezzo alla complessità del sistema giuridico». Tuttavia, la normativa al riguardo va valutata con attenzione. «La macchina può fare tutto il lavoro di analisi, ma l’umano deve tirare le fila», ha infatti sentenziato l’esperto.
Nuove assicurazioni, sanità più forte
La clausola sugli eventi catastrofali cambia faccia e da clausola di stile diventa un elemento da valutare attentamente. È uno dei dati più importanti emersi durante il webinar «Sanità e professione legale - Il rischio pandemico nei contratti, nei rapporti tra paziente e medico, nelle assicurazioni. Come si sta orientando il legale?».
L’emergenza sanitaria da Covid-19 in corso, sta causando conseguenze significative sulle vite di tutti e sul personale medico. Ma non solo. Anche sul piano contrattuale si sono aperte le strade a nuove considerazioni. Per esempio proprio sulla clausola contrattuale per eventi catastrofali, «da clausola di stile oggi, la clausola per eventi catastrofali è diventato elemento che le parti devono valutare attentamente», ha sottolineato Giovanni Facci, professore associato dell’Università degli Studi di Bologna, intervenuto al webinar.
Il legislatore del 1942 nel contratto di assicurazione aveva previsto come eventi catastrofali la guerra, il terremoto, le insurrezione ed eventi tumultuosi. Inoltre, la clausola si applicava solo all’assicurazione sui danni. Oggi, invece, il diritto vigente dovrà verificare le circostanze nuove e rispondere se l’articolo 1912 del codice civile si possa applicare anche sull’assicurazione sulla vita o a quella contro gli infortuni. Tra le stesse imprese, nello stilare polizze assicurative, «qualcuna è stata previdente e oggi è riuscita a raccogliere i frutti», ha rimarcato Lorenzo Locatelli, direttore della Scuola forense di Padova. Con questa pandemia, «cambierà il modo di assicurarsi?». Ad oggi, infatti, le polizze in circolazione prevedono il caso di interruzione degli affari. Tuttavia le polizze più interessate, in generale, sono quelle che prevedono indennizzo per l’interruzione delle attività collegata all’evento specifico che colpisce la struttura o il bene prodotto e costringe alla chiusura dell’impresa o dell’attività economica.
Per quanto riguarda invece la responsabilità dei medici, «oggi la pandemia ha cambiato i termini del discorso. Il dato forte che è emerso è che la figura in primo piano non è quella del medico, ma della struttura sanitaria», ha affermato Massimo Franzoni, professore dell’Università degli Studi di Bologna. Mentre, in linea generale la responsabilità professionale dei sanitari gira intorno alla logica della cosiddetta «malpractice» (abuso o illecito o negligenza o imperizia in ambito sanitario), in questa pandemia sono state le stesse strutture sanitarie che hanno collassato di fronte alla forte affluenza dei pazienti. Alcune scelte nell’organizzare le strutture a livello regionale hanno infatti dato risposte non sempre soddisfacenti come è emerso dalle cronache anche recenti. «È lecito presumere che le contestazioni riguarderanno non l’imperizia tecnica del singolo sanitario, ma le asserite carenze organizzative delle strutturali o organizzative delle strutture sanitarie», ha fatto eco Facci, «si vedrà se le controversie saranno decise secondo gli orientamenti precedenti o si terrà in considerazione l’eccezionalità data dalla pandemia».
Altro tema di cui si è discusso riguarda lo stato della telemedicina. Sono molte le patologie che potrebbero beneficiare della telematica e della teleassistenza. Tuttavia, «l’Italia a livello normativo non è adeguata. Non è un problema tecnologico», come ha osservato Francesco Fimmanò, professore ordinario dell’Università degli Studi delle Camere di commercio Universitas Mercatorum di Roma. Il vero problema non riguarda la qualità medica o quella tecnologica, ma la sfera giuridica. Occorre, infatti, definire i nuovi criteri previsti per adeguare correttamente il servizio offerto.
Ma ancor prima di ciò, serve anche investire sull’educazione digitale, in quanto «l’impiego di tutta la strumentazione implica un’acculturazione che non esiste» ha sottolineato Franzoni. Infine, sull’ipotesi di una disciplina ad hoc per la responsabilità civile dei medici, il processo in Italia si è fermato. «Da qui ai prossimi 4/5 anni si riparlerà di modificare la disciplina attuale».
Maggiore stabilità per gli investitori
Gli investitori esteri sono ancora poco entusiasti dall’idea di scommettere sulle infrastrutture italiane a causa della troppa burocrazia. È uno dei dati emersi durante MF Italian Legal Week». Per quanto l’Italia sia un’economia importante ed interessante per investimenti sulle infrastrutture, «il mercato è indietro a causa dell’instabilità politica e regolatoria, l’eccessiva burocratizzazione e, altro elemento rilevante, la qualità dell’iniziativa del partenariato pubblico-privato», ha affermato Daniele Ruggeri, associate partner strategy & transactions, infrastructure team, EY.
Eppure, «vi sono due fattori che rendono appetibile il mercato italiano delle infrastrutture: i rendimenti importanti che si vedono in Italia rispetto a Paesi europei, e il gap infrastrutturale nel Paese, che dà possibilità agli attori di investire capitali importanti».
Tuttavia gli investitori internazionali si trovano davanti ad un sistema imprevedibile, che scoraggia l’investimento «Quello che chiedono gli investitori è di avere un sistema sostanzialmente stabile. L’investimento presuppone una stabilità dell’assetto regolatorio che noi in Italia non abbiamo», ha rimarcato Maurizio Delfino, partner Delfino e associati Willkie Farr & Gallagher.
«Senza stabilità gli investitori esteri scappano», ha lamentato Federico Sutti, Managing Partner, Dentons Italia.
«Una possibile soluzione giuridica da poter implementare è quella di mettere dei limiti o eliminare la revoca per pubblico interesse, e di regolarizzare la stabilità delle concessioni. Le infrastrutture sociali che interessano il territorio riguardano molto spesso piccole realtà, rendendo le dimensioni dell’investimento poco appetibile», ha sottolineato Vito Bisceglie, partner Nctm.
Con riferimento alle nuove tecnologie, invece, tra gli investimenti nelle infrastrutture che si stanno realizzando in Italia spicca il 5G. «L’Italia è tra i primi Paesi che sta investendo sulla tecnologia del 5G», ha ricordato Agostino Nuzzolo, general counsel, direttore della funzione Legal & Tax di Tim. In particolare, «Telecom, oltre ad investire sulle infrastrutture, sta puntando sulla combinazione di disponibilità dei servizi e degli impianti». Su questa linea, «uno dei progetti su cui si sta lavorando è la realizzazione di un conductor, ossia dei visori ottici con tecnologia 5G per eseguire visite a distanza, con un servizio di self monitoring del paziente». Tuttavia, occorre anche una regolamentazione dell’attività. «Oggi non c’è framework normativo importante sulla telemedicina», ha continuato Bisceglie.
Infine, sul tema delle stazioni appaltanti, oggi, è emersa la scarsa competenza degli organi preposti per i progetti e per le gare. «Per le concessioni pubbliche servono centri di competenza che aiutino il pubblico», ha concluso Federico Sutti.