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    08.06.2021

    AGCM chiama il Governo con proposte sulla concorrenza nei porti italiani. Il Governo risponderà?


    L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha – come di consueto – predisposto ed inviato al Governo, lo scorso marzo, la propria relazione annuale contenente le proposte di riforma concorrenziale ai fini della Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza per l’anno 2021 (“Relazione”) [1].

     

    La Relazione tratta anche aspetti relativi al settore portuale: analizziamo quindi qui di seguito le proposte formulate dall’AGCM con riferimento alla nostra industry.

     

    L’AGCM, nell’analizzare l’attuale situazione concorrenziale dei porti italiani, evidenzia innanzitutto come “la realizzazione di investimenti volti ad aumentare la competitività degli scali nazionali, soprattutto in termini di raggiungimento di adeguati livelli di efficienza delle infrastrutture, e i processi di concorrenza dinamica possono risultare in parte limitati da alcune norme e/o regolazioni vigenti”.

     

    In particolare, nella Relazione vengono identificati tre macro-temi sui quali l’AGCM ritiene necessario un intervento dei legislatori: 1) l’emanazione di un Regolamento per l’assentimento delle concessioni demaniali marittime (“Regolamento”); 2) il divieto di doppia concessione previsto all’art. 18, co. 7 della L. n. 84/1994 e 3) il diritto all’autoproduzione delle operazioni portuali.

     

    Vediamo in sintesi cosa scrive l’AGCM e commentiamo in breve ciascuno dei tre macro-temi di cui sopra, il tutto con la debita premessa che i temi sollevati dall’AGCM non sono affatto nuovi, ma anzi hanno suscitato negli anni - e in particolare negli ultimi tempi - un acceso dibattito tra i vari stakeholder del mercato.

     

     

     

    1) Regolamento per l’assentimento delle concessioni demaniali marittime

     

    AGCM nota come non sia ancora stato adottato il famoso decreto ministeriale che avrebbe dovuto essere emanato ai sensi dell’art. 18, co. 1 della Legge n. 84/1994. Questo ha determinato negli anni - e determina ancora oggi - incertezza nei criteri di assegnazione delle concessioni.

     

    Secondo l’AGCM è necessario predeterminare le modalità di assegnazione delle concessioni in forza di criteri oggettivi, il tutto al fine di limitare un’eccessiva discrezionalità delle autorità competenti, garantendo quindi il rispetto dei principi unionali di trasparenza, pubblicità e non discriminazione.

     

    L’AGCM ritiene inoltre che “andrebbe rafforzato lo strumento della revoca delle concessioni ove gli affidatari non rispettino le condizioni definite nel contratto di affidamento, al fine di stimolare l’efficienza dei concessionari e incrementare la contendibilità dei beni”.

     

    L’emanazione di un Regolamento che individuasse criteri certi, chiari, trasparenti e non discriminatori per il rilascio delle concessioni demaniali portuali, nonché per la definizione della loro durata e delle modalità di revoca – come abbiamo detto – era già previsto dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84. Dopo 26 anni, tale Regolamento però non è ancora stato emanato.

     

    Indubbiamente, l’emanazione di tale Regolamento è alquanto auspicabile, in quanto garantirebbe – oltre al rispetto dei principi unionali di trasparenza, pubblicità e non discriminazione – una tutela e una certezza maggiore nei rapporti tra concedente ed aspiranti concessionari.

     

    Consentirebbe poi agli aspiranti concessionari di “giocare secondo le medesime regole” in tutti i porti italiani. Ad oggi, infatti, non esistendo un Regolamento che detti dei criteri validi per tutti, ogni Autorità di Sistema Portuale è libera di adottare delle proprie regole per individuare il concorrente “più meritevole”. Purtroppo tali regole non sempre individuano criteri certi, chiari, trasparenti e non discriminatori.

     

    Per quanto riguarda poi il rafforzamento dello strumento della revoca (ma forse l’AGCM intendeva riferirsi alla decadenza), notiamo la spinta che parrebbe volersi dare ai procedimenti di verifica dell’adempimento degli impegni assunti (in primis attraverso i propri piani di impresa) dai concessionari in sede di richiesta e rilascio della concessione.

     

    Non può negarsi come la verifica dell’effettivo adempimento - da parte del concessionario - dei propri impegni sia essenziale per scorgere delle inefficienze nell’uso delle aree demaniali. Infatti, considerata la limitatezza delle aree demaniali è interesse pubblico generale che le concessioni siano affidate a soggetti in grado di garantirne un uso proficuo ed efficiente. Il tutto, naturalmente, senza dimenticare che le concessioni rappresentano comunque dei contratti, in forza dei quali entrambe le parti sono tenute a rispettare i propri impegni (dunque non solo il concessionario, ma anche l’ente concedente, ad esempio in termini di realizzazione di interventi previsti nell’atto di concessione, sui quali il concessionario potrebbe aver fatto legittimo affidamento nell’elaborazione del proprio piano d’impresa).

     

     

     

    2) Art. 18, co. 7 della L. n. 84/1994 – divieto di doppia concessione

     

    Sulle pagine del nostro Shipping & Transport Bulletin [2] ci siamo già più volte soffermati su questo importante tema.

     

    Ci preme innanzitutto ribadire – come già evidenziato in precedenza – come la norma prevista dall’art. 18, co. 7 della Legge n. 84/1994 sia stata introdotta nel nostro ordinamento per evitare situazioni di monopolio e/o abuso di posizione dominante.

     

    Nella propria Relazione, l’AGCM fa una proposta che riterremmo “singolare”, ovvero di applicare il divieto di cui all’ art. 18, co. 7 della Legge n. 84/1994 solo ai porti di dimensioni più piccole, ritenendo che non vi possano essere situazioni di abuso di posizione dominante in porti di dimensioni maggiori.

     

    Segnatamente, l’AGCM propone “in un’ottica di sviluppo e crescita del settore portuale, che il comma 7 dell’art. 18, della legge 28 gennaio 1994, n. 84 sia riformulato, prevedendo un’applicazione del divieto di cumulo di concessione per la medesima attività solo per i porti di ridotte dimensioni, al cui interno è più facile che si creino situazioni di potere di mercato, e/o per quelle tipologie di attività che prevedono dinamiche concorrenziali limitate al singolo porto”.

     

    In realtà, a nostro parere, l’esperienza (anche recente) dimostra come quanto affermato dall’AGCM non rispecchi la realtà dei fatti. A prescindere dalle dimensioni di un porto, infatti, è evidente come gli spazi all’interno di un unico scalo siano limitati, come limitato è il numero di operatori che vi possono accedere. Con l’abolizione del divieto di doppia concessione si rischierebbe dunque di creare delle posizioni dominanti che potrebbero essere foriere di abusi.

     

    Si ricorda poi che negli anni l’art. 18, co. 7 della Legge n. 84/1994 è stato interpretato in modo da garantire che le Autorità di Sistema Portuale agissero nel “rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti” [3].

     

    Si tratta, poi, di una norma che, secondo la giurisprudenza [4], potrebbe essere “amministrata” dalle Autorità di Sistema Portuale nella prospettiva di assicurare la concorrenza all’interno di un porto (posto che è appunto la concorrenza il “bene” che tale norma vuole garantire), nell’ambito però di uno scenario sempre rivolto verso “l’incremento dei traffici e la produttività del porto”, come prevede l’art. 18, comma 6, della Legge n. 84/1994.

     

    Preme ricordare, in questo senso, come l’articolo 18, comma 7, della Legge n. 84/1994 miri a garantire la concorrenza, prima di tutto, nell’interesse degli utenti del porto (armatori in primis), che devono avere la possibilità di scegliere tra diverse offerte di servizi nell’ambito di ogni scalo.

     

    L’abrogazione della previsione e/o la limitazione della sua applicabilità ai soli porti minori ci pare rischiosa, in quanto foriera – come detto – di possibili abusi di posizioni dominanti. Per assurdo si potrebbe argomentare che l’interesse a creare una posizione dominante sia più pressante per un terminalista in porti di grandi dimensioni, rispetto a quelli di dimensioni minori. Questa ipotesi è stata corroborata dai recenti eventi che hanno interessato uno dei maggiori porti italiani.

     

    Infine, ci permettiamo al contrario di sollecitare un’applicazione concreta della norma. Negli ultimi anni si è infatti assistito ad un paradosso per il quale in certi porti tale norma è stata superata (o meglio ignorata) ed in altri invece è stata applicata alquanto rigidamente. L’esistenza della norma consente, comunque, una tutela della concorrenza nei porti e richiama quindi inevitabilmente gli interventi dell’AGCM. Riteniamo, pertanto, che rispetto a tematiche come quella in esame, non si possa restare sempre in attesa ed agire solamente de iure condendo ma, al contrario, si debba agire de iure condito.

     

     

     

    3) Limitazioni all’attività di autoproduzione nelle operazioni portuali

     

    Altro tema molto delicato su cui interviene l’AGCM è quello dell’autoproduzione. La delicatezza del tema deriva dalle implicazioni di carattere occupazionale e quindi sociale.

     

    L’AGCM “al fine di valorizzare il vincolo competitivo esercitabile dall’autoproduzione, propone l’abrogazione della norma di cui al comma 4bis dell’art. 16 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, onde rafforzare le dinamiche competitive di mercato nell’esercizio delle attività portuali, al fine di accrescere l’attrattività, anche internazionale, del comparto portuale in Italia”.

     

    La proposta dell’AGCM di abrogare il comma 4-bis dell’art. 16, della Legge n. 84/1994 [5], recentemente introdotto dall’articolo 199-bis del cd. “Decreto Rilancio” appare effettivamente degna di essere presa in considerazione dal legislatore.

     

    La norma introdotta dal Decreto Rilancio, infatti, non consente de facto l’effettivo e pieno esercizio del diritto autoproduzione. Tale disposizione stabilisce che – solo “qualora non sia possibile soddisfare la domanda di svolgimento di operazioni portuali” né tramite le imprese autorizzate ex art. 16 della Legge n. 84/1994 né mediante il ricorso alle imprese ex art. 17 della medesima legge – la nave sia autorizzata a svolgere le operazioni in regime di autoproduzione a condizione che, inter alia, “sia stato pagato il corrispettivo e sia stata prestata idonea cauzione”.

     

    Ricordiamo che il diritto all’autoproduzione è stato ritenuto dalla giurisprudenza un “diritto soggettivo, perfetto, esercitabile e tutelabile erga omnes, attributivo di potestà e facoltà liberamente esercitabili dai privati” [6].

     

    Il comma 4-bis dell’art. 16, della Legge n. 84/1994 parrebbe essere quindi in aperto contrasto non solo con la legge [7] e giurisprudenza [8], ma anche con il Regolamento 2017/352. Quest’ultimo, ribadendo i principi unionali di trasparenza, prevede che si debba garantire l’accesso al mercato dei servizi portuali in modo equo e non discriminatorio a tutti i soggetti interessati.

     

    Con l’abrogazione del comma 4-bis dell’art. 16, della Legge n. 84/1994 si potrà quindi scongiurare che la riserva legale attribuita alle imprese portuali pregiudichi in pratica diritto all’autoproduzione.

     

    Inoltre, preme evidenziare come l’eventuale mantenimento della limitazione all’autoproduzione potrebbe spingere l’utenza a preferire porti non italiani dove tali limitazioni non siano presenti e dove la concorrenza nelle operazioni portuali sia invece garantita.

     

    Giova poi ricordare che il D.M. n. 585/1995 all’art. 8 prevede già una serie di requisiti che il vettore marittimo o impresa di navigazione o il noleggiatore debbano avere per poter ottenere l’autorizzazione a svolgere le operazioni portuali in autoproduzione. Pertanto, la sicurezza dello svolgimento delle operazioni in autoproduzione è già garantita dalla sussistenza dei sopramenzionati requisiti. Non parrebbero pertanto esservi ragioni oggettive per giustificare la summenzionata limitazione.

     

     

     

    Ci sia consentito infine un commento generale a livello di metodo. Si ritiene opportuno che il legislatore – prima di valutare qualsivoglia modifica normativa in uno o tutti i sopra esaminati macro-temi – coinvolga in un dibattito aperto e trasparente tutti gli stakeholders, per sentire la voce e comprendere le reali esigenze di tutti gli operatori della industry nell’interesse della industry stessa nel suo complesso.

     

    Al momento della pubblicazione di questo articolo, infine, non ci risulta essere ancora stata adottata la legge annuale per il mercato e la concorrenza per l’anno 2021. Monitoreremo con attenzione l’adozione di tale legge, in quanto alla luce delle sopradescritte proposte dell’AGCM vi potrebbero essere delle importanti conseguenze sul mondo portuale italiano.

     

     

     

    Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare Ekaterina Aksenova.

     

     

     

     

     

    [1] https://www.agcm.it/dotcmsCustom/getDominoAttach?url-tr=192.168.14.10:8080/C12563290035806C/0/ 914911A1 FF8A4336C12586A1004C2060/$File/AS1730.pdf

    [2] Cfr. Shipping and Transport Bulletin – Dicembre 2017 – Gennaio 2018: “Ancora sul divieto di detenere il controllo di due terminal nello stesso porto previsto dall’art. 18, comma 7, della legge portuale italiana

    [3] Cfr. TAR Liguria, sez. II, 24 maggio 2012, n. 747

    [4] Cfr. Ordinanza del Tribunale di Genova del 18 settembre 2009

    [5] Il comma 4-bis dell’art. 16 della Legge n. 84/1994 statuisce che “Qualora non sia possibile soddisfare la domanda di svolgimento di operazioni portuali né mediante le imprese autorizzate ai sensi del comma 3 del presente articolo né tramite il ricorso all'impresa o all'agenzia per la fornitura di lavoro portuale temporaneo di cui, rispettivamente, ai commi 2 e 5 dell'articolo 17, la nave è autorizzata a svolgere le operazioni in regime di autoproduzione a condizione che:

    a) sia dotata di mezzi meccanici adeguati;

    b) sia dotata di personale idoneo, aggiuntivo rispetto all'organico della tabella di sicurezza e di esercizio della nave e dedicato esclusivamente allo svolgimento di tali operazioni;

    c) sia stato pagato il corrispettivo e sia stata prestata idonea cauzione”.

    [6] Consiglio di Stato, Sez. II, Parere 30 agosto 1996, in Dir. mar., 1998, p. 1127.

    [7] In particolare il dettato dell’art. 9 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 secondo il quale “La riserva per legge allo Stato ovvero a un ente pubblico del monopolio su un mercato, nonché la riserva per legge ad un’impresa incaricata della gestione di attività di prestazione al pubblico di beni o di servizi contro corrispettivo, non comporta per i terzi il divieto di produzione di tali beni o servizi per uso proprio, della società controllante e delle società controllate. L’autoproduzione non è consentita nei casi in cui in base alle disposizioni che prevedono la riserva risulti che la stessa è stabilita per motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e difesa nazionale, nonché, salvo concessione, per quanto concerne il settore delle telecomunicazioni”.

    [8]Tra le altre: Consiglio di Stato, Sez. II, Parere 30 agosto 1996, in Dir. mar., 1998, p. 1127

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