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    17.02.2021

    La Cina gioca la carta terre rare nel braccio di ferro con gli Usa


    Il dialogo Usa-Cina non è ancora ripartito sotto la nuova presidenza di Joe Biden che già le relazioni commerciali e politiche tra i due Paesi tornano a complicarsi, anche a causa degli strascichi di decisioni prese dalla precedente amministrazione.

     

    Tra le mosse di Donald Trump c'era stata l'iscrizione in lista nera di una sessantina di aziende cinesi che Washington considera vicine alla Difesa e, quindi, a rischio per la sicurezza nazionale nonché il divieto di fare affari con la Cina imposto anche ad aziende terze che producono quei semiconduttori di fascia alta di cui Pechino ha bisogno come il pane, soprattutto nel settore dell'automotive.

     

    Ora la Cina sventola a sua volta una possibile stretta all'export di terre rare, vecchio asso nella manica, mentre il ministro dell'Industria prende tempo e si affida al parere finale del Consiglio di Stato cinese e della Commissione militare centrale. La minaccia, comunque, c'è.

     

    Com'è noto la Cina è il Paese che possiede la maggior quantità di terre rare ed è quindi in grado, almeno finora, di gestire l'80% delle riserve di 17 materiali strategici per le industrie più avanzate di tutto il mondo. Negli ultimi anni il Governo ha favorito l'accorpamento delle aziende più piccole e combattuto a fondo il contrabbando. La recente svolta autoritaria nella vicina Myanmar, ricca di terre rare, priva la Cina di un alleato nel mercato globale.

     

    A essere in fibrillazione è la Difesa americana, servono 417 chilogrammi di terre rare nei sistemi di alimentazione elettrica e nei magneti di ogni aereo F-35 Lockheed Martin. D'altro canto i cinesi devono importare tecnologia statunitense come i semiconduttori di fascia alta e in questo momento le misure decise da Donald Trump sono ancora in vigore.

     

    Lockheed Martin, Boeing e Raytheon sono accusate inoltre da Pechino di aver venduto armi a Taiwan, la "provincia ribelle" che non riconosce come entità autonoma, anzi punta a far ritornare all'ovile.

     

    Il Pentagono è sempre più preoccupato per la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina per le terre rare utilizzate in qualsiasi cosa, dai missili a guida di precisione ai droni. Negli ultimi mesi, ha firmato contratti con miniere americane e australiane per spingere ad aumentare la produzione.

     

    Le terre rare per i cinesi sono sempre più preziose perchè servono nei veicoli elettrici e nella generazione di energia eolica. D'altronde i cinesi soffrono per lo shortage di chip per auto che sta danneggiando tutto l'automotive, da Volkswagen a Ford, Subaru, Toyota, Fca, a causa proprio della chiusura delle aziende di semiconduttori attive in Cina imposte dagli Stati Uniti.

     

    Anche per i semiconduttori è iniziata la caccia grossa. Il ministro del Commercio taiwanese Wang MeiHua ha dovuto sollecitare, per soddisfare la domanda, la società taiwanese TMSC, leader al mondo dei semiconduttori, a produrre più chip per l'auto piuttosto che per gli smartphone.

     

    Le filiere dell'automotive rischiano di rimanere indietro, di qui il pressing che ha coinvolto anche la diplomazia specie tedesca e giapponese che ha chiesto sforzi aggiuntivi nella produzione per compensare la mancanza di semiconduttori made in China. In Cina, infatti, le aziende del settore sono ancora bloccate.

     

    Al tempo stesso Pechino ha dato il via alla più imponente rottamazione di auto che mai si sia verificata. Deve farlo anche per essere in linea con gli obiettivi di sostenibilità che si è data. Il 10 febbraio il ministero del Commercio della Repubblica Popolare Cinese ha pubblicato le "Linee guida per la incentivazione del commercio di automobili" e le "Esperienze e pratiche locali nella incentivazione dell'utilizzo di automobili".

     

    «La Cina vuol adottare misure per eliminare, gradualmente, le restrizioni sugli acquisti di automobili, incoraggiare i cittadini ad acquistare veicoli ad energia alternativa, revocare le restrizioni relative alle registrazioni per la sostituzione di veicoli usati, ottimizzare il sistema di riciclo delle auto rottamate e far crescere il mercato del noleggio», commentano Enrico Toti e Laura Formichella, sinologi, avvocati dello studio Nctm. «È prevista un'accelerazione sulla rottamazione dei vecchi veicoli a motore e la concessione di sovvenzioni per la rottamazione di quelli che non rispettino determinati standard di emissione. E una serie di iniziative per la costruzione di parcheggi, il miglioramento dell'ambiente, l'ampliamento del mercato dei pezzi di ricambio auto».

     

    Tutto bene, fin qui. Ma con la filiera delle nuove auto bloccata sarà più difficile disfarsi della vecchia.

     

    Tratto da Il Sole 24 ore

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