Articolo a cura di Fabio Marelli per Il Sole 24 Ore
Tra le moltissime disposizioni del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (“CCII”) modificate o aggiunte dal d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (c.d. “correttivo-ter”), spiccano quelle in materia di transazione fiscale e di trattamento dei debiti tributari e contributivi nei percorsi e negli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza. Su questo versante gli interventi sono stati molteplici: (i) la transazione fiscale è stata introdotta – senza possibilità di cram down – anche nella composizione negoziata della crisi, come da tempo auspicato e anticipato; (ii) negli accordi di ristrutturazione dei debiti è stata in gran parte recepita – tra l’altro innalzando significativamente le soglie minime di soddisfacimento dei debiti erariali e previdenziali ai fini del cram down – la disciplina già prevista in via transitoria dall’art. 1-bis del d.l. 13 giugno 2023 (introdotto dalla l. di conversione 10 agosto 2023, n. 103); (iii) la transazione fiscale è stata introdotta anche nel piano di risanamento soggetto a omologazione (c.d. “PRO”), senza possibilità di cram down, in considerazione della necessaria adesione di tutte le classi di creditori ai fini dell’omologazione; (iv) nel concordato preventivo, il correttivo-ter ha confermato che è ammissibile il cram down fiscale e contributivo anche nel concordato in continuità aziendale e che le relative classi sono computate ai fini delle maggioranze nella c.d. ristrutturazione trasversale (art. 112, comma 2, CCII), salvo solo per l’approvazione da parte dell’unica classe c.d. “maltrattata” (superando così un orientamento nella giurisprudenza di merito, ancora più restrittivo).
Qui trattiamo della disciplina nella composizione negoziata della crisi, contenuta nel comma 2-bis aggiunto dal correttivo-ter all’art. 23 CCII. La esaminiamo in dettaglio di seguito.
La definizione dei tributi per via negoziale
La definizione dei debiti erariali viene prevista attraverso uno strumento di carattere contrattuale, coerentemente con il contesto della composizione negoziata della crisi in cui si inserisce. Tanto è chiarito senza possibilità di dubbio da diverse disposizioni del comma 2-bis: (i) si fa riferimento a una “proposta di accordo transattivo”; (ii) si prevede che “l’accordo è sottoscritto dalle parti”; (iii) è stabilito che il giudice verifichi “la regolarità … dell’accordo” oppure, alternativamente, dichiari che “l’accordo è privo di effetti”; infine, (iv) è previsto che “l’accordo si risolve di diritto” in caso di inadempimento.
Non si tratta di una novità, essendo ormai da lungo tempo prevista la transazione fiscale nel contesto degli accordi di ristrutturazione dei debiti (a suo tempo in forza dell’art. 182-ter l.fall., oggi dell’art. 63 CCII). Di nuovo istituto potremmo parlare se fossimo qui di fronte a uno strumento esclusivamente negoziale, ma così non è, considerato che la legge prevede, come abbiamo appena visto, un controllo da parte del Tribunale, che autorizza l’esecuzione dell’accordo, ovvero ne dichiara l’inefficacia. L’exequatur da parte del Tribunale si inserisce in un indirizzo normativo che ammette la definizione della pretesa tributaria, a fronte del ben noto principio di indisponibilità del credito tributario, solo in presenza di un intervento da parte dell’Autorità Giudiziaria, in un settore del nostro ordinamento “all’incrocio” tra i principi del diritto concorsuale e del diritto tributario. La transazione fiscale fino a oggi era ammissibile esclusivamente nell’ambito di strumenti che si concludono con una sentenza di omologazione da parte del Tribunale. Un esito attraverso un provvedimento di vera e propria omologazione probabilmente non sarebbe stato prospettabile, non essendo la composizione negoziata della crisi una procedura concorsuale, né uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. La scelta del correttivo-ter sembra nel senso di prevedere un pur più blando controllo limitato alla regolarità dell’accordo (salvo quanto diremo più avanti in merito alla effettiva estensione di questo controllo). È peraltro evidente l’indirizzo del legislatore finalizzato a fornire ai funzionari delle Agenzie fiscali una sorta di “comfort” legato a un vaglio giurisdizionale (oltre che alle relazioni del professionista indipendente e del revisore, come vedremo).
Come accennato non è previsto il cram down, coerentemente con questo intervento più “limitato” da parte del Tribunale che, come appena richiamato, non assume i contorni della vera e propria omologazione di uno strumento di regolazione della crisi, come nel concordato o negli accordi di ristrutturazione. Le Agenzie fiscali valuteranno quindi, senza possibili “supplenze” da parte del Tribunale, la convenienza della proposta di accordo.
Il contenuto della proposta
Veniamo quindi al tema, centrale, del possibile contenuto della proposta. Il comma 2-bis dell’art. 23 CCII prevede al primo e secondo periodo che l’imprenditore possa presentare una proposta che prevede “il pagamento, parziale o dilazionato, del debito e dei relativi accessori. La proposta non può essere formulata in relazione ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea”.
L’aspetto più innovativo (per quanto riguarda, beninteso, il contesto della composizione negoziata) è rappresentato senz’altro dalla possibilità di prevedere un pagamento, a stralcio, di una percentuale del credito erariale. Come ben noto, in precedenza era consentito solo un limitato risparmio di sanzioni e interessi, oltre a una dilazione di pagamento, come tuttora previsto dall’art. 25-bis, comma 4, CCII. Si trattava di una rilevante limitazione della possibilità di perseguire il risanamento dell’impresa con il solo strumento della composizione negoziata: ove le risorse disponibili per la soddisfazione dei creditori pregressi, anche nell’arco del piano, non fossero state sufficienti al pagamento integrale del debito erariale, era necessario – restando nel contesto di una soluzione negoziata della crisi – accedere all’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti (facendo ricorso alla disposizione dell’art. 63 CCII). Diversamente, l’imprenditore avrebbe dovuto ricorrere agli strumenti del concordato semplificato o del concordato preventivo, scontando però ben più gravosi costi di procedura, oltre che tempi ampiamente maggiori per conseguire la definizione della crisi. Anche potendo considerare di utilizzare l’istituto della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, l’imprenditore avrebbe dovuto tenere presente che – a seguito dell’introduzione della già richiamata disciplina prevista in via transitoria dall’art. 1-bis del d.l. 13 giugno 2023, oggi ripresa all’art. 63 CCII – la riduzione del debito erariale è fortemente condizionata dalle soglie minime di soddisfacimento (30 o 40% a seconda dei casi nella disciplina transitoria, 50 e 60% in quella introdotta nel Codice dal correttivo-ter) previste per il cram down. Nessun pagamento minimo, beninteso, era ed è necessario in caso di accettazione volontaria della proposta di transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione dei debiti da parte delle Agenzie, ma certamente la previsione di percentuali così elevate in caso di transazione fiscale “forzosa” rende meno agevole l’accettazione da parte dei funzionari di misure di soddisfacimento inferiori (e, in particolare, largamente inferiori).
Nella composizione negoziata, ai sensi del comma 2-bis dell’art. 23 CCII, non è prevista una misura minima di soddisfacimento al fine dell’accettazione della proposta di definizione parziale del debito erariale. Se da un lato questo fa sì che le Agenzie fiscali potranno quindi valutare in autonomia la proposta di accordo di definizione della debitoria, sulla sola base di ragioni di convenienza (o almeno di equivalenza) rispetto all’alternativa liquidatoria, che rappresenta comunque il requisito indispensabile in tutte le modalità ammesse di riduzione in sede concorsuale del debito erariale, dall’altro lato, tuttavia, non si può ignorare che un riferimento alle soglie minime previste oggi dall’art. 63 CCII potrà operare indirettamente come parametro nelle determinazione delle Agenzie sulle proposte di accordo nella composizione negoziata.
Per quanto riguarda invece il riscadenziamento del debito, già l’art. 25-bis, comma 4, CCII consentiva una possibilità di ampio differimento fino a sei anni (72 rate mensili), nell’ambito degli strumenti negoziali propri della composizione negoziata previsti dall’art. 23, comma 1, CCII (contratto che assicura la continuità aziendale per un biennio o accordo sottoscritto dall’esperto). Questa possibilità resta anche oggi, ma difficilmente potrebbe consentire di “gestire” la sola componente dilatoria del debito che sia anche, parallelamente, oggetto di stralcio parziale nell’ambito dell’accordo di cui al comma 2-bis dell’art. 23 CCII, anche ove la dilazione fosse comunque contenuta nei limiti delle misure premiali di cui all’art. 25-bis, comma 4, CCII. Il vantaggio di ricorrere alla misura premiale potrebbe essere quello di un percorso “agevolato” per la sola componente dilatoria della proposta, considerato che la stessa non è condizionata a un provvedimento del Tribunale (ma solo alla richiesta sottoscritta dall’esperto e alla pubblicazione del contratto o dell’accordo di cui all’art. 23, comma 1, CCII), né richiede relazioni del professionista indipendente e del revisore, né accordo o assenso delle Agenzie: il dubbio in merito all’ammissibilità di un tale “doppio binario” risiede nel fatto che le misure premiali dell’art. 25-bis, comma 4, CCII sembrano presupporre (nell’originario impianto normativo in cui furono previste) il pagamento integrale dei tributi, ciò che invece non sarebbe realizzato in ipotesi di concorrente proposta di accordo per lo stralcio di parte dei tributi stessi. Analoga dovrebbe essere la conclusione anche per quanto riguarda il possibile cumulo dei vantaggi della riduzione delle sanzioni e degli interessi, pure annoverati tra le misure premiali di cui all’art. 25-bis, comma 4, CCII.
Il tema centrale della nuova disciplina dell’oggetto dell’accordo transattivo in sede di composizione negoziata, tuttavia, è rappresentato da ciò che la disposizione del comma 2-bis dell’art. 23 CCII non dice, più che da ciò che è espressamente disposto: l’accordo per la ridefinizione del debito riguarda esclusivamente i crediti amministrati dalle agenzie fiscali e, quindi, è esclusa la possibilità di stralciare il debito derivante dai contributi previdenziali e assistenziali obbligatori. Si tratta di una soluzione di compromesso che – al di là del maggior grado privilegio che assiste i contributi e che comunque condiziona la possibilità di stralcio all’incapienza del patrimonio già a partire dalla possibilità di soddisfare il relativo grado – non sembra potere trovare una valida giustificazione. Si potrebbe essere tentati di pensare che, considerata la nota assenza di disponibilità degli enti previdenziali ad acconsentire a proposte di definizione parziale dei contributi (financo nel concordato preventivo), ben poche sarebbero state le possibilità concrete di addivenire su base volontaria (e in assenza di cram down) a un accordo transattivo sul debito contributivo: tuttavia, l’esclusione ex lege dal novero dei possibili accordi non potrà che avere l’effetto di “rafforzare” l’atteggiamento fin qui assunto dall’INPS e dall’INAIL, a discapito della possibilità di addivenire a una soluzione della crisi attraverso uno strumento meno “invasivo” e oneroso (sia per il debitore che per i creditori) rispetto agli altri strumenti di composizione della crisi.
Il secondo tema di rilievo, per quanto riguarda il perimetro dei tributi che possono essere oggetto di accordo transattivo con l’Erario, riguarda la disposizione dell’art. 23, comma 2-bis, CCII il quale prevede, al secondo periodo, l’esclusione dei tributi propri dell’Unione Europea. Il tema in sé non è nuovo, posto che nella originaria versione dell’art. 182-ter l.fall. era, appunto, prevista analoga formulazione limitativa, che aveva originato ampia discussione e difformi orientamenti in merito alla falcidiabilità dell’IVA nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti (esclusa poi espressamente in una successiva revisione della norma). Come ben noto, il tema era stato poi superato, prima per effetto di una decisione della Corte di Giustizia dell’Unione (7 aprile 2016, causa C-546/14) e poi della nostra Corte di cassazione (S.U. 8 novembre 2016, n. 26988), per vedere poi normativamente eliminata (con il decreto correttivo del 2017) la disposizione che aveva suscitato le incertezze che oggi potrebbero riproporsi nel nuovo contesto della composizione negoziata. In proposito, si deve convenire pienamente con chi ha dimostrato convincentemente e con ampia argomentazione (G. Andreani, L’introduzione della “transazione fiscale” nella composizione negoziata della crisi, in diritttodellacrisi.it) che il dubbio non ha in realtà ragione di porsi e che l’IVA ben può essere oggetto di stralcio in sede di proposta di accordo transattivo nella composizione negoziata, in forza della nuova disposizione del comma 2-bis dell’art. 23 CCII.
In tema di ambito oggettivo dell’accordo, resta solo un ultimo cenno alla (perdurante) esclusione (così come negli altri strumenti di composizione della crisi) dei tributi degli enti locali territoriali.
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