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    26.05.2020

    Ancora sul divieto di doppia concessione stabilito dall’art. 18, comma 7, della Legge Portuale: <i>cui prodest</i>?


    Le note vicende portuali genovesi degli ultimi tempi[1] hanno riportato prepotentemente alla ribalta il tema del c.d. "divieto di doppia concessione” stabilito dall’art. 18, comma 7, della Legge Portuale[2]. Autorevoli esperti hanno dato il proprio contributo al dibattito ed in tale contesto qualcuno ha anche richiamato - seppur in maniera inesatta - un nostro intervento in materia del dicembre 2017[3].

     

    L’emergenza che stiamo tutti vivendo - in particolare nel settore dei trasporti - non deve impedirci di tirare le fila del discorso, evidenziando innanzitutto un punto, a nostro avviso importante nell’ambito di questo interessante confronto, che ci parrebbe essere rimasto fino ad oggi sottotraccia.

     

    Per ragioni di chiarezza, rileggiamo intanto la norma in questione:

     

    In ciascun porto l'impresa concessionaria di un'area demaniale deve esercitare direttamente l'attività per la quale ha ottenuto la concessione, non può essere al tempo stesso concessionaria di altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l'attività per la quale richiede una nuova concessione sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti nella stessa area demaniale, e non può svolgere attività portuali in spazi diversi da quelli che le sono stati assegnati in concessione. Su motivata richiesta dell'impresa concessionaria, l’autorità concedente può autorizzare l'affidamento ad altre imprese portuali, autorizzate ai sensi dell'articolo 16, dell'esercizio di alcune attività comprese nel ciclo operativo”.

     

    La norma, oltre a stabilire che un’impresa concessionaria debba esercitare direttamente l’attività per la quale ha ricevuto la concessione, prevede in sostanza un duplice divieto:

    • l’impresa concessionaria non può essere contestualmente titolare di due differenti concessioni ex art. 18 L. 84/94 nello stesso porto, salvo che le due concessioni non abbiano ad oggetto attività tra loro differenti;
    • l’impresa concessionaria non può svolgere attività portuali in aree demaniali diverse da quelle che le sono state assentite.

    Ci concentriamo qui sul primo dei due divieti, quello che - come detto - viene definito il “divieto di doppia concessione”.

     

    Il tenore letterale della norma appare oggettivamente chiaro. Da un punto di vista “formale”, il divieto di doppia concessione non verrebbe dunque violato soltanto nel caso in cui nelle due aree in concessione - nello stesso porto - venissero esercitate attività diverse. È questo il c.d. principio o criterio della specializzazione.

     

    Non ci risultano problemi, né interpretativi né applicativi, rispetto a questo principio della specializzazione dei traffici.

     

    Piuttosto la giurisprudenza ha operato considerazioni di carattere logistico e geografico, giungendo a ritenere non violato il divieto di doppia concessione - oltre che nell’ipotesi (pacifica) della specializzazione - anche laddove le due concessioni riguardino aree demaniali tra loro contigue[4] (posto che, nel caso, evidentemente si avrebbe poi alla fine un unico compendio).

     

    In casi che definiremmo “estremi”, l’evoluzione giurisprudenziale si è spinta persino a ritenere comunque non violato il divieto ogniqualvolta non venga a costituirsi una posizione dominante tale da pregiudicare la concorrenza (come potrebbe avvenire, per esempio, nell’ipotesi in cui ad una medesima impresa venisse consentito di godere di “spazi eccezionalmente ampi[5] in un determinato porto).

     

    Rispetto a quest’ultimo approdo giurisprudenziale, ci sia consentito svolgere una considerazione molto concreta: se il legislatore avesse voluto consentire il cumulo di due concessioni per la stessa attività, nello stesso porto, in capo al medesimo soggetto, lo avrebbe esplicitato nella norma che stiamo commentando (così come ha esplicitato il principio della specializzazione).

     

    Il tenore letterale della norma, invece, non lascia margini interpretativi. Trattasi di un divieto a prescindere. Consentiteci un esempio: se una norma fissa a 130km/h il limite massimo di velocità in autostrada, il limite è quello, anche se a violarlo è un pilota di Formula 1. Non si discute della capacità di questo pilota di guidare in sicurezza anche oltre tale limite, ma la certezza del diritto impone di ritenere comunque violato il divieto.

     

    Ecco, allo stesso modo potremmo dire che una doppia concessione nello stesso porto in capo ad unico titolare effettivo (salvo il caso della specializzazione) risulti oggi vietata a prescindere dalla sua idoneità o meno a ledere la concorrenza.

     

    Questa impostazione è stata confermata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Quest’ultima, infatti, pur riconoscendo la norma come funzionale alla tutela della concorrenza ed in particolare diretta a prevenire abusi di posizione dominante[6], non si è preoccupata di accertare la potenziale lesione della concorrenza o di svolgere particolari analisi del mercato[7], limitandosi a rilevare come venga violato il divieto di doppia concessione ogniqualvolta un soggetto - anche tramite l’interposizione di terzi - controlli due distinti compendi demaniali, destinati alle operazioni e/o ai servizi portuali, nei quali vengono svolte le medesime attività[8].

     

    Veniamo dunque al punto che ci premeva sottolineare.

     

    Nel dibattito in corso ci è parso non essere stato debitamente evidenziato un profilo a nostro avviso essenziale della questione: a favore di chi è posta questa norma che tutti riconosciamo essere finalizzata alla tutela della concorrenza? La risposta non può che essere questa: la norma è posta a favore degli utenti del porto e quindi, in primis, degli armatori.

     

    Le ragioni possono apparire finanche banali. È pacifico, infatti, che - in linea generale[9] - sia la (leale) concorrenza tra imprese a sostenere lo spirito imprenditoriale e l’efficienza, a garantire maggiori possibilità di scelta da parte dei consumatori (da intendersi qui come gli utenti del porto), a favorire la riduzione dei prezzi, l’innalzamento della qualità dei servizi e quindi anche un maggior tasso di innovazione (il tutto, alla fine, con un conseguente incremento di attrattività e competitività anche

    del porto stesso in cui la concorrenza viene correttamente favorita).

     

    Questa, del resto, era l’impostazione che aveva ben chiara in mente il nostro legislatore fin dal principio. Nei lavori preparatori della legge portuale, infatti, si legge che “il porto deve, quindi, essere aperto a più imprese che operino in un regime di piena concorrenza; solo attraverso il confronto continuo e la competizione si può realizzare una politica portuale mirata a contenere i costi ed a fornire, nel contempo, servizi sempre più articolati e completi”.

     

    Sulla stessa lunghezza d’onda si sono poi poste sia la giurisprudenza sia l’AGCM, che anche di recente hanno in sostanza ribadito come l’assentimento ad un unico soggetto di plurime concessioni abbia come possibile conseguenza diretta quella di ridurre gli operatori e di conseguenza limitare l’offerta, esponendo gli utenti del porto a possibili abusi.

     

    L’AGCM, in particolare, ha avuto modo di evidenziare come eventuali fenomeni concertativi tra imprese concorrenti condurrebbero di fatto ad un’uniformizzazione delle condizioni di offerta dei servizi e quindi in pratica all'azzeramento delle dinamiche concorrenziali - in termini di possibilità di scelta da parte della domanda, ma anche di qualità e costi dei servizi offerti - con potenziali impatti negativi sulla platea dei consumatori/utenti.

     

    Ecco dunque affermato il principio che ha evidentemente ispirato il legislatore nella redazione dell’art. 18, comma, 7 della Legge Portuale, ma anche quel profilo di rilevanza della norma che il dibattito in corso ci è parso non aver posto debitamente in luce.

     

    Considerato che il porto rappresenta un mercato sostanzialmente chiuso, caratterizzato dalla presenza di enormi barriere all’accesso e da un numero limitato di operatori[10], occorre dunque evitare che esso diventi luogo di pratiche restrittive della concorrenza attraverso la concentrazione delle imprese portuali terminalistiche (oltre che, naturalmente, in conseguenza di qualsiasi tipologia di abuso di posizione dominante). Ciò tenendo quindi sempre a mente che l’articolo 18, comma 7, della Legge Portuale mira a garantire la concorrenza nell’interesse non certo delle imprese portuali stesse, bensì degli utenti del porto (armatori in primis), che devono avere la possibilità di scegliere tra diverse offerte di servizi nell’ambito di ogni scalo.

     

    Tale concorrenza, come abbiamo detto, sarà altresì in grado - in prospettiva - di accrescere l’attrattività e la competitività del porto in cui viene correttamente garantita.

     

     

     

     

     

    [1] Ci riferiamo alla possibile operazione che potrebbe portare il gruppo PSA a controllare, oltre al terminal container VTE di Prà, anche il terminal container Sech di Sampierdarena.

    [2] Legge 28/01/1994, n. 84.

    [3] "Ancora sul divieto di detenere il controllo di due terminal nello stesso porto previsto dall’art. 18, comma 7, della legge portuale italiana

    [4] Per inciso, se pensiamo - per esempio - all’operazione riguardante i terminal VTE e SECH, è evidente come ci si riferisca a due terminal situati in aree tra loro di certo non contigue.

    [5] Vds. sentenza n. 747/2012 del TAR Liguria.

    [6] Ricordiamo qui come le Autorità di Sistema Portuale non abbiano comunque un potere totalmente discrezionale di “amministrare” l’art. 18, comma 7, della Legge n. 84/94, in quanto il loro operato potrebbe poi venire “censurato” dall’AGCM (che, in termini pratici, potrebbe impugnare ex art. 21bis L. 287/90 gli atti eventualmente adottati da un’Autorità di Sistema Portuale in violazione dei principi posti dall’ordinamento a tutela e promozione della concorrenza).

    [7] Vds., da ultimo, il provvedimento AS1618 del 09.09.2019 (Autorità Portuale Di Messina - Concessione demaniale per la gestione di un distributore di carburante per natanti nel porto Di Milazzo).

    [8] L’AGCM è stata attenta nel chiarire come il divieto non possa essere aggirato semplicemente attraverso artifizi formali. In termini molto pratici: non basta fare in modo che le due concessioni risultino formalmente (rectius: apparentemente) in capo a due società diverse, se poi queste sono controllate da un unico soggetto e quindi riconducibili ad un unico centro di interesse. Non va dimenticato, infatti, come condotte abusive possano derivare anche da intese restrittive della concorrenza che sarebbero chiaramente favorite dall’appartenenza dei due concessionari ad un medesimo gruppo (con ciò che potrebbe derivarne, per esempio, anche in termini di scambio di informazioni oltre che di coordinamento delle azioni sul mercato). Ciò fatte salve possibili ipotesi di segregazione societaria tali da escludere il controllo congiunto di un terminal qualora lo stesso appartenga a due distinte società, di cui una od entrambe già titolari di altra concessione nello stesso porto (esclusione garantita in primis, secondo l’AGCM, dalla rinuncia del socio di minoranza - già concessionario - al diritto di veto sulle decisioni riguardanti la presentazione di nuove istanze di concessione o di istanze volte all’estensione di concessioni già esistenti da parte del terminal in questione).

    [9] Siamo ben consapevoli del fatto che esistano situazioni in cui, per diverse ragioni, la presenza nello stesso porto di diversi concessionari svolgenti la medesima attività in concorrenza tra loro non sarebbe la soluzione maggiormente rispondente agli interessi dell’utenza portuale. È un dato di fatto che non intendiamo certo negare e che la giurisprudenza ha puntualmente considerato (vds. sentenza n. 747/2012 del TAR Liguria), ben chiarendo però anche in che termini ed a quali condizioni tale scenario potrebbe risultare ammissibile.

    [10] Mentre è molto ampio il ventaglio degli utenti del porto.