Siamo ormai entrati nella stagione estiva e ci pare dunque il caso, per una volta, di mettere un attimo da parte le questioni legate alle grandi problematiche portuali per affrontare invece un tema af-ferente alla nautica da diporto, che vive proprio in questa stagione i suoi mesi più intensi.
Il tema che intendiamo affrontare - come sempre in termini pratici - è quello relativo agli obblighi di custodia che potrebbero gravare o non gravare sulla struttura ove viene ormeggiata un’imbarcazione.
Il problema si pone innanzitutto nei casi in cui non sia stato sottoscritto un contratto di ormeggio op-pure questo nulla preveda in merito ad un eventuale servizio di custodia. Tuttavia, come vedremo, in determinate circostanze potrebbero sorgere dei dubbi anche in presenza di un contratto che escluda espressamente la sussistenza di un obbligo di custodia a carico della struttura portuale.
Iniziando ad esaminare il contesto normativo, notiamo subito come - nel nostro ordinamento - il contratto di ormeggio sia un contratto c.d. “atipico” a livello legislativo, vale a dire privo di una specifica disciplina normativa, pur essendo al contrario assolutamente “tipico” nella nautica da diporto dato il suo ampio utilizzo.
In Italia, la dottrina e la giurisprudenza si sono dunque adoperate, anche attraverso l’esame delle prassi e dei regolamenti adottati dagli operatori, al fine di definire il contratto di ormeggio e ricostruirne la disciplina giuridica.
La giurisprudenza[1] è giunta così ad individuare un contenuto minimo essenziale del contratto di ormeggio, rappresentato della messa a disposizione di una porzione di specchio acqueo per l’ormeggio di un’imbarcazione, al quale possono poi affiancarsi altri contenuti eventuali aventi ad oggetto ulteriori prestazioni, tra le quali - in particolare - la custodia del natante.
Questo orientamento parrebbe oggi prevalere rispetto ad un diverso orientamento[2] che tende invece ad assimilare il contratto di ormeggio alla locazione o al deposito a seconda del contenuto del contratto che - di volta in volta - viene in concreto sottoscritto dalle parti. Secondo quest’ultimo orientamento, in pratica, il contratto d’ormeggio si potrebbe ricondurre alla locazione ogniqualvolta il suo oggetto sia “limitato” alla messa a disposizione del posto barca (per la semplice sosta dell’unità, senza ulteriori prestazioni), mentre sarebbe riconducibile al deposito ogniqualvolta dia luogo all’affidamento dell’imbarcazione agli addetti della struttura portuale.
A prescindere dall’adesione ad uno o all’altro degli orientamenti sopra citati, però, è un fatto come - nella realtà - l’interesse dell’armatore non sia quasi mai solo quello di utilizzare lo spazio acqueo, bensì anche quello di poter disporre di strutture ed attrezzature per il ricovero della propria barca, la sua manutenzione, la somministrazione di forniture quali acqua ed energia elettrica e, soprattutto, quello di avere la garanzia che il gestore del porto vigili sull’unità, ovvero - appunto - la custodisca[3].
Ma quando non viene sottoscritto alcun contratto di ormeggio o quando il contratto nulla prevede in merito alla custodia dell’unità, tale obbligazione deve ritenersi sussistere o no?
Per rispondere a questo quesito, la giurisprudenza prevalente[4] parrebbe aver elaborato dei criteri sulla base dei quali sarebbe possibile dedurre l’assunzione o meno dell’obbligo di custodia da parte della struttura portuale. Vediamo dunque, in breve, alcuni di questi criteri:
Da segnalare come in giurisprudenza[5] si sia giunti persino ad affermare che - qualora un contratto d’ormeggio preveda, da un lato, un servizio di sorveglianza diurno e notturno e, dall’altro lato, che tale servizio non comporti l’assunzione di alcun obbligo di custodia - la contraddizione tra queste due clausole debba risolversi nel senso che la custodia dell’unità rientri nell’ambito delle prestazioni offerte.
Come si evince da quanto appena osservato, quindi, l’interpretazione di un contratto di ormeggio - relativamente al tema della custodia, che di norma ne rappresenta l’aspetto più critico - parrebbe non esaurirsi nell’esame delle clausole contrattuali (sempre che un contratto sia stato concluso), imponendo al contrario anche un’analisi del contesto di fatto in cui ci si trova.
Suggeriamo dunque - tanto agli operatori quanto agli appassionati - di tenere a mente le indicazioni che provengono dalla giurisprudenza onde evitare brutte sorprese nel malaugurato caso in cui dovesse verificarsi un sinistro mentre l’unità si trova ormeggiata in banchina.
Il contenuto di questo articolo ha valore solo informativo e non costituisce un parere professionale.
Per ulteriori informazioni contattare Simone Gaggero.
[1] Vedasi, tra le altre, Corte di Cassazione, 01.06.2004, n. 10484.
[2] Vedasi, tra le altre, Corte di Cassazione, 03.04.2007, n. 8224.
[3] Non sono mancate, infatti, pronunce che hanno ritenuto la vigilanza e la sicurezza dell’approdo persino coessenziali al sinallagma del contratto di ormeggio (vds. Corte di Appello di Trieste, 28.07.1999).
[4] Vedasi, in particolare, la già citata Corte di Cassazione, 01.06.2004, n. 10484
[5] Tribunale di Trieste, 05.04.2006, n. 357.