È stata pubblicata, lo scorso 4 luglio sul BURAS n. 35, la Legge Regionale n. 5 del 3 luglio 2024 con cui il Consiglio ha approvato la c.d. Moratoria Sardegna.
La legge reca norme urgenti al dichiarato scopo di garantire la tutela e la salvaguardia del paesaggio e dell'ambiente nonché di favorire lo sviluppo regolato e armonico degli impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili in armonia con le peculiarità e la conservazione del territorio regionale.
Nelle more dell'approvazione della legge regionale di individuazione delle aree idonee ai sensi dell'articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, nonché dell'approvazione del Programma regionale di sviluppo (PRS) e del Piano paesaggistico regionale (PPR), e, comunque, per un periodo non superiore a 18 mesi dalla sua entrata in vigore, la norma sottopone l’intero territorio regionale a misure di salvaguardia del paesaggio, del territorio e dell’ambiente, prevedendo il divieto di realizzare nuovi impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili che incidono direttamente sull’occupazione di suolo.
In particolare, sono sottoposti a misure di salvaguardia comportanti il divieto di realizzare nuovi impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili i seguenti ambiti territoriali:
a) zone urbanistiche omogenee di cui all'art. 3 del Decreto n. 2266/U del 20 dicembre 1983[1], fatto salvo quanto previsto dal comma 3 della legge;
b) aree naturali protette istituite ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394, con particolare riferimento alle aree di riserva integrale e di riserva generale orientata nonché aree equivalenti istituite dall'ordinamento regionale;
c) zone umide d'importanza internazionale riconosciute e inserite nell'elenco della Convenzione relativa alle zone umide d'importanza internazionale, con particolare riferimento agli habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971, e recepita con decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;
d) zone umide ricadenti nei siti di interesse comunitario (SIC) o in zone di protezione speciale (ZPS) e zone umide ricadenti all'interno di riserve naturali e oasi di protezione istituite a livello nazionale e regionale;
e) aree incluse nella Rete natura 2000 ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992;
f) aree di riproduzione, alimentazione e transito di specie faunistiche protette oppure aree in cui è accertata la presenza di specie animali e vegetali soggette a tutela dalle convenzioni internazionali e dalla direttiva n. 92/43/CEE del 1992;
g) aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità, quali produzioni biologiche, produzioni DOP, IGP, STG, DOC, DOCG, produzioni tradizionali, ovvero aree di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale;
h) aree caratterizzate da situazioni di dissesto oppure di rischio idrogeologico perimetrate nei Piani di assetto idrogeologico (PAI);
i) aree che distano meno di 7 chilometri da beni culturali, oppure di 1.500 metri per le isole minori;
j) le aree di cui all'articolo 142, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004, lett. a, b, c, d (nei limiti della parte eccedente 1.200 metri sul livello del mare), f, g, h (limitatamente alle zone gravate da usi civici) e m;
k) le aree individuate ai sensi dell'articolo 143, comma 1, lettera d), del decreto
legislativo n. 42 del 2004[2];
l) aree che distano meno di 7 chilometri in linea d'aria, oppure 1.500 metri per le isole minori, da impianti di produzione e di accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili realizzati o per i quali sia stata presentata istanza per l'avvio della relativa procedura di autorizzazione alla data di entrata in vigore della legge.
Sono esclusi dall'applicazione delle misure di salvaguardia:
a) gli impianti di produzione e di accumulo di energia elettrica[3] da fonti rinnovabili che non comportano consumo di suolo e, limitatamente alle zone omogenee H, purché destinati all'autoconsumo o alla valorizzazione del compendio in chiave di sostenibilità ambientale;
b) gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria o di revamping di impianti di produzione e di accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili;
c) gli impianti di produzione e di accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili finalizzati all'autoconsumo e gli impianti ricadenti nelle comunità energetiche;
d) gli impianti ubicati nelle aree libere di lotti già urbanizzati e edificati all'entrata in vigore della legge sulla base di un piano attuativo, ricadenti nelle zone urbanistiche omogenee D e G;
e) gli impianti di produzione e di accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili previsti all'interno di progetti aventi ad oggetto il trasporto pubblico sostenibile;
f) gli impianti di produzione e di accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili integrati all'interno di progetti per la realizzazione di opere pubbliche;
g) gli impianti agrivoltaici avanzati, con soluzioni costruttive in elevazione con una dimensione massima di 10 Mwp a servizio di aziende condotte da titolari aventi la qualifica di coltivatore diretto (CD) o imprenditore agricolo professionale (IAP) che risultino operative dalla data del 31 dicembre 2018 e con sede operativa nel territorio della Regione Sardegna.
Al comma 2 dell’art. 3, la legge prevede l’applicazione delle misure di salvaguardia anche alle procedure di autorizzazione “in corso” di impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Sebbene il testo approvato e pubblicato non faccia alcun riferimento agli impianti già autorizzati la cui realizzazione non sia ancora iniziata, il Presidente della Regione, Alessandra Todde, ha tenuto a precisare che la legge “è efficace per quanto riguarda il blocco di tutte le iniziative per le quali i lavori non avevano già avuto inizio precedentemente alla sua entrata in vigore”. Allo stato, dunque, malgrado la lettera della norma, dovrebbe considerarsi bloccata anche la realizzazione degli impianti già autorizzati i cui lavori non siano ancora iniziati, con grave lesione del legittimo affidamento degli operatori.
La legge ha mostrato sin da subito evidenti profili di incostituzionalità.
E’ notizia di ieri che il Consiglio dei Ministri ha deciso di impugnarla innanzi alla Corte costituzionale per eccesso di competenze proprie della Regione secondo lo Statuto, per contrasto con la normativa statale ed europea e per violazione degli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione. Il Consiglio dei Ministri ha, altresì, richiesto alla Consulta che si applichi immediatamente e in via cautelare la sospensione dell'art. 3, fulcro della norma.
Sul punto, occorre ricordare che alle Regioni non era consentito procedere alla individuazione delle aree idonee prima dell’emanazione del decreto ministeriale di cui all’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 199/2021 (“D.M. Aree idonee”, da ultimo pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 2 luglio 2024) né è consentito comunque disporre moratorie o sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione, come previsto dal successivo comma 6 del citato art. 20. Le Regioni non hanno, inoltre, il potere di assoggettare la realizzazione degli impianti di produzione o accumulo a limitazioni espresse su determinate aree, implicandone, di fatto, la concreta inutilizzabilità per rilevanti estensioni di territorio, in violazione della riserva di procedimento amministrativo e della relativa istruttoria volta a comporre gli interessi pubblici coinvolti e garantirne una corretta valorizzazione (cfr. ex multis Corte Cost., sentenza n. 77 del 2022), né possono autonomamente provvedere alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa (cfr. Corte Cost., sentenza n. 168 del 2010) ovvero imporre preclusioni assolute che inibiscano a priori ogni accertamento in concreto in sede autorizzativa (cfr. Corte Cost., sentenza n. 106 del 2020).
La norma, in altri termini, viola dell’articolo 117 della Costituzione, in materia di legislazione concorrente di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, l’art. 3 della Costituzione, disciplinando in maniera ingiustificatamente diversa dalle disposizioni nazionali situazioni sostanzialmente identiche, e l’articolo 41 della Costituzione in matria di libertà di iniziativa, oltre a porsi palesemente in contrasto con il principio di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, in quanto ostativa al conseguimento degli ambiziosi obiettivi nazionali ed europei di decarbonizzazione.
Nonostante, quindi, con ogni probabilità, la legge sarà destinata ad essere censurata dalla Consulta - come già accaduto in passato con previsioni analoghe (si vedano le moratorie del Lazio o dell’ Abruzzo dichiarate incostituzionali rispettivamente con le sentenze n. 221/2022 e 27/2023) - vi è comunque il rischio concreto che qualunque iter autorizzativo dovesse essere avviato per la realizzazione di un progetto nella Regione venga colpito dalla moratoria (fatte salve le ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 3 innanzi indicate) nelle more della decisione della Corte Costituzionale.
[1] Tra le zone omogenee: a) il centro storico-artistico o di particolare pregio ambientale (zone A); b) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate diverse dalle zone A (zone B); c) le parti del territorio destinate a nuovi complessi residenziali, che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie utilizzata richiesti per le zone B (zone C); d) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali, artigianali, commerciali, di conservazione, trasformazione o commercializzazione di prodotti agricoli e/o della pesca (zone D); e) le parti del territorio destinate ad usi agricoli e quelle con edifici, attrezzature ed impianti connessi al settore agro-pastorale e a quello della pesca, e alla valorizzazione dei loro prodotti (zone E); le parti del territorio di interesse turistico (zone F); le parti del territorio destinate ad edifici, attrezzature ed impianti, pubblici e privati, riservati a servizi di interesse generale (zone G); le parti del territorio non classificabili secondo i criteri in precedenza definiti e che rivestono un particolare valore speleologico, archeologico, paesaggistico o di particolare interesse per la collettività, quali fascia costiera, fascia attorno agli agglomerati urbani, fascia di rispetto cimiteriale, fascia lungo le strade statali provinciali e comunali (zone H).
[2] In particolare: la fascia costiera, sistemi a baie e promontori, falesie e piccole isole; campi dunari e sistemi di spiaggia, aree rocciose e di cresta ed aree a quota superiore ai 900 metri sul livello del mare; grotte e caverne; monumenti naturali ai sensi della legge regionale 7 giugno 1989, n. 31; zone umide, laghi naturali ed invasi artificiali e territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; fiumi torrenti e corsi d'acqua e relative sponde o piedi degli argini, per una fascia di 150 metri ciascuna, e sistemi fluviali, riparali, risorgive e cascate, ancorché temporanee; aree di ulteriore interesse naturalistico comprendenti le specie e gli habitat prioritari, ai sensi della direttiva n. 43/92/CEE del 1992; aree che distano meno di 2 chilometri in linea d'aria da alberi monumentali; aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico-culturale, compresa la fascia di tutela; aree caratterizzate da insediamenti storici.
[3] Sul punto, occorre rilevare che la Regione non ha competenza nell’autorizzare gli impianti Bess stand-alone; questa, infatti, appartiene al MASE. La norma quindi, nella parte in cui si riferisce agli “impianti di accumulo da fonti rinnovabili”, può al più riferirsi agli impianti di accumulo che operano in combinato con impianti da fonti rinnovabili. Devono quindi essere fatti salvi gli impianti stand-alone dagli effetti della moratoria.
A cura di Giovanni De Luca, Piero Viganò e Paola Putignano.