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02/05/2024
Energia e Infrastrutture

CER: il Consiglio Nazionale del Notariato si esprime sulle questioni dibattute e sulle forme giuridiche

Alla fine del mese di marzo, il Consiglio Nazionale del Notariato ha pubblicato uno studio sulla recente disciplina della incentivazione delle comunità energetiche rinnovabili (“CER”), offrendo importanti spunti in merito a vari profili di incertezza anche di rilevanza pratica.

Nel prosieguo sono esaminati alcuni dei passaggi fondamentali di detto studio. Ricordiamo come le seguenti indicazioni devono essere considerate come generali e che potrebbero non essere valide in ogni caso, dovendo essere di volta in volta oggetto di valutazione le circostanze rilevanti dello specifico caso.

 

Gli incentivi economici statali

Le CER incentivate sono legittimate a godere di tre specifici contributi statali:

a) la tariffa premio prevista dal Decreto del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica 7 dicembre 2023, n. 414 (nel seguito il “Decreto CACER”), sulla base dell’energia condivisa nell’ambito della Configurazioni di Autoconsumo per la Condivisione dell’Energia Rinnovabile (“CACER”);

b) il contributo per la valorizzazione dell’energia elettrica autoconsumata (o contributo ARERA), previsto dal Testo Integrato Autoconsumo Diffuso (“TIAD”);

c) il contributo a fondo perduto, interamente finanziato con il PNRR, previsto dal Decreto CACER a copertura parziale dei costi per la realizzazione o il potenziamento di alcuni impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Tali contributi sono gestiti dal GSE nel rispetto delle Regole operative per l’accesso al servizio per l’autoconsumo diffuso e al contributo PNRR del 23 febbraio scorso, aggiornate il 22 aprile 2024 (di seguito le “Regole Operative”). Per beneficiare della tariffa premio e del contributo ARERA, la CER deve accedere al servizio di autoconsumo diffuso prestato dal GSE, mediante apposita domanda presentata dal soggetto Referente[1]. Ricevuta la domanda, il GSE effettuerà i controlli tecnico-amministrativi sulla documentazione, allegata dal Referente, relativa agli impianti di produzione ed alla CER. Solo in caso di esito positivo di tali controlli il GSE provvederà alla sottoscrizione del contratto per la regolazione del servizio per l’autoconsumo diffuso. I rigorosi controlli tecnico-amministrativi menzionati sono finalizzati alla verifica della sussistenza dei requisiti richiesti e si protraggono anche a seguito della conclusione del contratto, durante la fase esecutiva; pertanto, qualora il GSE riscontri la perdita di uno o più dei requisiti di ammissibilità richiesti ovvero il rilascio di dichiarazioni mendaci, dispone la decadenza degli incentivi, con l’integrale recupero delle somme eventualmente già versate.

 

La soggettività giuridica

Il requisito della soggettività giuridica delle CER, imposto dall’art. 31, primo comma, lett. b) del d.lgs. n. 199/2021[2], impedisce di costituire CER sia in forma di associazione temporanea di impresa (o ATI), sia in forma di partenariato, non creandosi, in questi casi, un soggetto giuridico distinto dagli associati[3].

Stante la soggettività giuridica delle CER, i contributi pagati dal GSE sono destinati alla CER e non ai suoi membri, quand’anche la CER attribuisca la qualifica di Referente a un soggetto diverso da sé[4]. I membri della CER, a loro volta, potranno vedersi accreditati i contributi del GSE solo eventualmente, se la ripartizione è prevista dall’atto costitutivo, da un regolamento ovvero da una decisione del competente organo della CER. Infatti, nessuna norma impone alla CER di ripartire i contributi economici del GSE tra i suoi membri.

 

La condivisione dell’energia

Secondo quanto previsto dalla normativa vigente, possono individuarsi tre aspetti legati alla condivisione dell’energia autoprodotta dalla CER:

(i) la condivisione è attuata mediante un rapporto diretto tra la CER ed i suoi membri consumatori;
(ii) la condivisione avviene virtualmente. Infatti, i membri non consumano fisicamente l’energia autoprodotta dalla CER, dovendo questa immettere nella rete pubblica tutta l’energia elettrica che non abbia autoconsumato in sito e potendo i membri della CER consumare solo l’energia elettrica prelevata dalla rete pubblica[5];
(iii) la tariffa incentivante riguarda la sola condivisione di energia elettrica e non anche gli altri vettori energetici autoproducibili dalla CER da fonti rinnovabili, come l’energia termica.

Il tratto essenziale della condivisione, proprio delle CER, ne definisce il loro scopo mutualistico, inteso nel senso di gestione di servizio del relativo ente verso i suoi membri. Lo scopo mutualistico presuppone un rapporto bilaterale fra la CER e i suoi membri.

Nell’ottica di tale rapporto bilaterale, la prestazione della CER può consistere nella ripartizione degli utili tra i suoi membri o in prestazioni ulteriori, anche di natura non economica[6]. La prestazione dei membri, invece, può consistere nella fornitura dei dati relativi ai loro consumi o nel lavoro da loro prestato alla CER.

Beninteso, il tratto essenziale della condivisione, proprio delle CER, non implica che tutti i suoi membri debbano partecipare alla condivisione. Non è infatti prescritto che la CER abbia un oggetto esclusivo e riferito alla sola produzione e condivisione di energia da fonti rinnovabili a fini di autoconsumo. Sicché può darsi che soggetti disinteressati alle predette attività, ma interessati ad altre[7], facciano parte della CER, purché, ovviamente, tali soggetti non rappresentino la totalità dei membri[8]. In dettaglio, secondo quanto prescrivono le Regole Operative, la CER presuppone la presenza (i) di almeno due membri che siano consumatori e/o produttori di energia e (ii) di almeno due POD collegati a un’utenza di consumo e a un impianto di produzione[9].

 

I membri

I membri della CER devono rientrare in almeno una delle seguenti categorie di soggetti:

(i) imprenditori che non esercitino in via esclusiva o principale attività nel settore energetico e che rientrino nella definizione europea di MPMI (micro e piccole medie imprese)[10];
(ii) persone fisiche o enti privati che non siano qualificabili come imprenditori;
(iii) enti privati di ricerca e formazione, enti religiosi, quelli del Terzo settore e di protezione ambientale;
(iv) enti pubblici compresi tra le amministrazioni locali contenute nell’elenco periodicamente divulgato dall’ISTAT[11].

 

Il requisito della c.d. “porta aperta

Il requisito della c.d. “porta aperta” previsto per le CER si concretizza nella facoltà di libero accesso alla stessa da parte di soggetti interessati e nella previsione di un diritto di recesso ad nutum dei clienti finali.

In virtù del primo elemento, si ritiene che la CER non possa legittimamente negare l’ammissione all’aspirante membro consumatore nemmeno quando i consumi degli attuali membri siano pari o superiori all’autoproduzione della CER nelle varie fasce orarie in cui viene calcolata l’energia elettrica condivisa. Inoltre, la CER non può surrettiziamente negare l’ingresso agli aspiranti membri, richiedendo requisiti sproporzionati o iniqui, come eccessivi conferimenti iniziali. Né la CER potrebbe circoscrivere l’ingresso ad uno o più dei tre sottoinsiemi della nozione di “cliente finale” di energia, ossia: (i) clienti civili; (ii) clienti non civili; (iii) consumatori energetici appartenenti a famiglie a basso reddito o vulnerabili.
In ogni caso, l’elemento della partecipazione aperta non impedisce alla CER di differenziare i requisiti di ingresso prescritti agli aspiranti membri, purché tale differenziazione sia equa e proporzionata. Né le impedisce di essere formata da membri appartenenti ad una sola delle classi sopra elencate, benché tale organizzazione sia stata concepita dal legislatore unionale come mezzo per promuovere preferibilmente persone fisiche che siano consumatori energetici; sicché, una CER, quanto alla sua compagine minimale, potrebbe essere costituita da due membri appartenenti all’unica classe delle MPMI, qualora costoro condividessero l’energia autoprodotta dalla CER.

Il secondo elemento, quello del recesso ad nutum dei clienti finali, invece, non impedisce alla CER di condizionare l’efficacia del recesso nei suoi confronti al rispetto di determinate condizioni. Inoltre, se il recedente si è impegnato a rimanere nella CER fino alla scadenza di un certo termine, in caso di recesso anticipato rimangono fermi gli eventuali corrispettivi concordati per la compartecipazione agli investimenti sostenuti, che devono anch’essi, comunque, risultare equi e proporzionati.

 

I clienti finali

I membri della CER incentivata consumatori energetici mantengono i loro diritti di cliente finale, compreso quello di scegliere il proprio venditore; sarebbe nulla, pertanto, la pattuizione statutaria o regolamentare con la quale la CER imponesse ai propri membri di acquistare l’energia dalla stessa CER o altri servizi energetici dal proprietario dell’impianto di produzione energetica locato alla CER.

 

Il requisito dell’autonomia

Qualsiasi CER deve essere autonoma ai sensi dell’art. 31, primo comma, lett. b) del d.lgs. n. 199/2021. Il contenuto di tale requisito non è specificato. Tuttavia, esso trova il suo fondamento nel considerando 71 della dir. 2018/2001/UE: «evitare gli abusi e garantire un’ampia partecipazione».

L’autonomia, quindi, svolge la funzione di vietare il controllo interno ed esterno della CER. Tale divieto è rinforzato da una seconda prescrizione contenuta nella medesima direttiva, quella secondo cui la CER è un soggetto che «è effettivamente controllato» dai propri membri[12].

La CER, dunque, può dirsi autonoma quando è effettivamente controllata dall’insieme dei propri membri e non invece da alcuni di costoro, da un loro gruppo minoritario o da soggetti esterni.

 

La democraticità

A qualsiasi CER è imposto il carattere democratico, a prescindere dalla forma giuridica utilizzata per costituirla. Il necessario carattere democratico delle CER implica alcune considerazioni:

(i) la nozione di «poteri di controllo», ripetutamente utilizzata nel d.lgs. n. 199/2021 per disciplinare le CER[13], va intesa come diritti di voto esercitabili nella CER. Conseguentemente, dall’art. 31, primo comma, lett. b) e d) del d.lgs. n. 199/2021 si ricava che ogni membro della CER che sia un consumatore energetico deve essere legittimato ad esercitare almeno un voto nelle decisioni di competenza dei propri membri;
(ii) la CER non può riconoscere diritti di partecipazione diversi dal voto nelle decisioni di competenza dei membri;
(iii) nonostante la concezione delle CER come strumenti di attivazione e di autotutela dei consumatori energetici, non si impone la prevalenza dei voti spettanti ai membri rientranti in tale categoria. Sicché può legittimamente accadere che, fra i membri della CER, le MPMI detengano più voti delle persone fisiche;
(iv) gli enti pubblici non possono mai avere la maggioranza dei voti nella CER, a meno che la CER sia stata costituita per promuovere l’utilizzo dell’energia termica da fonti rinnovabili;
(v) il necessario carattere democratico della CER non impone di prevedere il voto capitario per i suoi membri. Tuttavia, se fosse previsto il voto plurimo, dovrebbero comunque fissarsi dei tetti ai voti esercitabili o comunque delle regole che impediscano il realizzarsi di situazioni di controllo della CER da parte di singoli membri o di loro gruppi minoritari. In aggiunta, il potere deliberativo dei membri della CER va, in ogni caso, riconosciuto in alcune materie, fra cui: nomina, compenso, revoca e responsabilità degli amministratori e, se presenti, dei membri dell’organo di controllo e del revisore legale dei conti; organizzazione dell’organo cui hanno diritto di partecipare tutti i membri; destinazione degli eventuali utili; modificazioni dell’atto costitutivo; scioglimento dell’ente[14].

 

Le attività esercitabili

L’oggetto della CER presenta una componente doverosa, ossia l’autoproduzione e la condivisione di energia da fonti rinnovabili, ed una componente opzionale, ossia altre attività, diverse dalle due menzionate, fra cui: la vendita e l’accumulo di energia autoprodotta o acquistata da terzi, la produzione di qualsiasi energia (dunque non solo quella elettrica) da fonti rinnovabili destinata al consumo dei propri membri, la promozione di «interventi integrati di domotica, interventi di efficienza energetica», nonché l’offerta di «servizi di ricarica dei veicoli elettrici ai propri membri […]»[15].

Si noti che fra le attività della componente opzionale rientrano anche quelle sconnesse con le attività energetiche, che possono addirittura essere prevalenti (anche in termini di fatturato), fermo restando il limite imposto dalla specifica disciplina applicabile in virtù della forma giuridica adottata per la CER[16].

 

L’autoproduzione energetica

Gli impianti di produzione e di accumulo dell’energia devono essere «nella disponibilità e sotto il controllo della comunità», secondo quanto prescrive l’art. 31, secondo comma, lett. a) del d.lgs. n. 191/2021. Pertanto, ai fini dell’autoproduzione, non è necessario che la CER sia proprietaria degli impianti, essendo sufficiente che la stessa ne abbia la disponibilità, la quale si consegue mediante la sottoscrizione di un accordo tra la CER ed il produttore di energia – terzo o membro della CER. Da tale accordo si deve poter evincere che il produttore conduce i relativi impianti «nel rispetto degli accordi definiti con la comunità per le finalità della comunità energetica rinnovabile e nel rispetto di quanto previsto dalle norme di riferimento»[17].

Si noti che la qualifica di “produttore terzo”, ossia di colui che offre la disponibilità dell’impianto alla CER, può essere assunta anche dalle grandi imprese ovvero da quei soggetti che svolgono come attività commerciale o professionale principale la produzione e lo scambio dell’energia elettrica, considerato che non appartengono alla CER.

La CER che ha solamente la disponibilità dell’impianto e non la sua proprietà, corrisponde ad un aggregatore energetico, sia per il lato della produzione, sia per il lato del consumo. Inoltre, in tal caso, la CER non è tenuta a pagare l’accisa sull’energia prodotta e non è titolare di alcuna officina elettrica (nel significato di cui all’art. 54 d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504).

Raramente la CER sarà qualificabile come autoproduttore ai sensi dell’art. 2, secondo comma del d.lgs. n. 79/1999, poiché essa difficilmente autoconsumerà fisicamente almeno il settanta per cento dell’energia elettrica autoprodotta, come richiede quest’ultima disposizione. È più verosimile che l’energia elettrica autoprodotta dalla CER, eventualmente diminuita della poca autoconsumata in sito, venga integralmente immessa in rete, se del caso dopo essere stata in tutto o in parte accumulata in appositi impianti.

Ai fini della condivisione di energia rinnovabile internamente alla CER, mentre la produzione di energia può anche essere solo di terzi, il consumo deve essere solo dei membri della CER.

In particolare, per “energia elettrica condivisa”, ai sensi del TIAD, si intende «in ogni ora e per l’insieme dei punti di connessione ubicati nella stessa zona di mercato che rilevano ai fini di una configurazione per l’autoconsumo diffuso, il minimo tra l’energia elettrica immessa ai fini della condivisione e l’energia elettrica prelevata ai fini della condivisione»[18]. Mentre, per “energia elettrica autoconsumata”, ossia l’energia elettrica condivisa che gode della tariffa premio, si intende «per ogni ora, l’energia elettrica condivisa afferente ai soli punti di connessione ubicati nella porzione della rete di distribuzione sottesa alla stessa cabina primaria»[19] ed è relativa alla sola energia immessa da impianti di produzione (o da interventi di potenziamento) che (a) singolarmente considerati, siano di potenza non superiore a 1 MW e (b) complessivamente considerati, siano di potenza proveniente, per almeno il 70%, da impianti entrati in esercizio dopo il 15 dicembre 2021[20].

Nell’energia elettrica autoconsumata e incentivata si computa anche quella accumulata dalla CER, dopo essere stata autoprodotta e prima di essere messa in rete.

Una CER può anche ricevere la tariffa premio sulla condivisione energetica realizzata su più cabine primarie, a condizione però che il corrispondente Referente (eventualmente diverso da quello incaricato per un’altra configurazione riferibile alla stessa CER) presenti, per ciascuna cabina primaria costituente un’apposita configurazione di autoconsumo, un’istanza al GSE di accesso al servizio per l’autoconsumo diffuso.

Dunque, ad una CER possono appartenere più CACER; in tal caso si può prevedere statutariamente che alla pluralità di CACER corrisponda un’articolazione organizzativa di tale CER (come una pluralità di assemblee separate), la quale permetta di suddividere i suoi membri in base alla loro appartenenza alle diverse sue CACER.

 

La qualifica

La CER è da qualificarsi come imprenditore commerciale per le tre seguenti ragioni:

(i) è certa la natura commerciale (cioè non agricola) delle attività energetiche;
(ii) le attività energetiche, quand’anche esercitate da una CER che sia un imprenditore agricolo, non sono, di regola, qualificabili come connesse ai sensi dell’art. 2135, terzo comma, c.c.;
(iii) anche in presenza di CER in forma di enti senza scopo di lucro, le loro attività corrispondenti a imprese commerciali dovrebbero essere solitamente prevalenti, se non esclusive, rispetto a quelle non imprenditoriali.

Ne deriva che la CER sarà perlopiù soggetta allo statuto dell’imprenditore commerciale. Pertanto, sussistendo i relativi presupposti, una CER potrà, ad esempio, essere tenuta ad iscriversi nel registro delle imprese o essere sottoposta a liquidazione giudiziale.

In particolare, la CER incentivata è qualificabile come un imprenditore energetico[21], pure nell’ipotesi in cui esternalizzasse tutte le sue attività economiche.

 

I possibili tipi, sottotipi e qualifiche

Riguardo alla forma giuridica adottabile dalle CER, lo studio del Notariato conferma la già nota situazione di incertezza normativa. Non esiste, infatti, un’unica forma e un’unica regolamentazione ottimali per tutte le CER, potendosi le stesse differenziare molto in termini di membri (quantitativamente e qualitativamente), di ambito territoriale, di scopi, di attività e di struttura aziendale e finanziaria.

Ad ogni modo, nell’adozione della forma giuridica delle CER bisogna tener conto che il loro obiettivo principale, come stabilisce l’art. 31, primo comma, lett. a) del d.lgs. n. 199/2021, è «quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi soci o membri o alle aree locali in cui opera la comunità e non quello di realizzare profitti finanziari».

Pertanto, il prevalente scopo non lucrativo delle CER, imposto dalla norma menzionata, impedisce di costituire la CER in una di quelle forme giuridiche che devono perseguire, almeno prevalentemente, lo scopo di lucro, ex art. 2247 c.c., fra cui: società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice, società a responsabilità limitata, società per azioni, società in accomandita per azioni e società benefit.

Mentre può ritenersi che il requisito del prevalente scopo non lucrativo delle CER consenta la costituzione di CER nelle forme della società (i) cooperativa a mutualità prevalente ovvero non prevalente ma con clausole statutarie conformi all’art. 2514, primo comma, c.c. o (ii) qualificata come impresa sociale.

Si consideri, inoltre, che il requisito in esame non è violato quando, nel rispetto della disciplina del prescelto modello organizzativo, la CER ripartisce i contributi del GSE tra i propri membri.

Fermo quanto sopra, possono in ogni caso ritenersi conformi alla disciplina imperativa della CER sopra delineata, le seguenti forme giuridiche:

  • l’associazione (riconosciuta o non riconosciuta), anzitutto, come disciplinata dal codice civile. L’associazione può essere qualificata come impresa commerciale, può avere anche enti pubblici tra i propri associati e può perseguire uno scopo mutualistico o altruistico – ma non lucrativo. La CER associazione può acquisire anche la qualifica di ETS o di impresa sociale. Invece, la CER non può costituirsi in forma di organizzazione di volontariato o di associazione di promozione sociale, poiché la disciplina di queste ultime due forme giuridiche impedisce l’ingresso ad alcuni soggetti – come gli enti privati con scopo lucrativo o gli enti pubblici qualificabili come amministrazioni locali – e, pertanto, non sarebbe rispettato il requisito del libero ingresso, proprio delle CER. La CER associazione gode di due facilitazioni: (i) può essere costituita con due soli membri, a differenza della CER cooperativa, che ne richiede almeno 9; (ii) riduce i costi di costituzione e di mantenimento della struttura, specialmente se in forma di associazione non riconosciuta, a differenza di quanto avviene per le CER in forma societaria. Tuttavia, la disciplina dell’associazione non è stata concepita per l’esercizio di attività imprenditoriali e crea alcune complessità per il caso in cui si vogliano distribuire tra gli associati i contributi pubblici ricevuti dal GSE. Infatti, a causa del suo necessario scopo non lucrativo, la forma dell’associazione non consentirebbe la distribuzione dei contributi del GSE. È solo con la qualifica di ETS o di impresa sociale che la CER associazione può riconoscere ai propri associati detti contributi[22], purché regoli le proprie attività di produzione, accumulo e condivisione di energia a fini di autoconsumo mediante contratti parziari (determinanti cioè il prezzo in funzione degli utili generati dall’ente produttore dei beni e/o dei servizi oggetto di tali contratti). La medesima CER non può, però, distribuire la stessa quantità di utili come ristorni, realizzando in tal caso un’illegittima distribuzione diretta di utili, la quale è consentita solo all’impresa sociale in forma di cooperativa, ai sensi dell’art. 3, comma 2-bis, d.lgs. n. 112/2017;
  • la fondazione, a condizione che abbia una struttura aperta e democratica, è anch’essa una forma giuridica adottabile. Tuttavia, aderendo alla tesi secondo cui la fondazione non è funzionalmente neutra, essa non può essere ritenuta adatta se si intende assegnare alla CER uno scopo mutualistico, essendo necessario che la stessa persegua uno scopo di pubblica utilità; il che si verificherebbe se la maggioranza dei membri della CER fosse interessata ad instaurare scambi mutualistici con la propria fondazione. Inoltre, tale forma giuridica non consente neanche la ripartizione, tra i propri membri, dei contributi ricevuti dal GSE come impiego di utili, violando altrimenti il suo necessario scopo non lucrativo. Anche in questo caso, la CER fondazione può acquisire anche la qualifica di ETS o di impresa sociale;
  • la società lucrativa, purché non persegua in via principale lo scopo lucrativo. Questo vincolo è rispettabile solo adottando la qualifica di impresa sociale;
  • la società cooperativa rappresenta la forma ottimale per gran parte delle CER poiché la sua disciplina è quella che meglio si adatta ai loro requisiti.
    La CER cooperativa può, poi, avere la qualifica di impresa sociale, di società benefit e di impresa di comunità. La CER può corrispondere a una cooperativa consortile, atteso che questa società non è disciplinata direttamente dall’art. 2602, primo comma, c.c. e non è costretta né ad avere un oggetto sociale contenente solo attività consortili né a perseguire lo scopo mutualistico-consortile con una compagine sociale costituita unicamente da soci con i requisiti soggettivi imposti dal legislatore. La CER cooperativa deve essere costituita da almeno 9 membri[23]. Ad ogni modo, dovrebbero essere infrequenti i casi in cui la sostenibilità economica della CER e la necessaria condivisione dell’energia sia garantita da meno di nove soggetti, comunque destinati a crescere in ragione del necessario carattere aperto della CER. Lo scopo mutualistico della CER cooperativa può variare notevolmente, potendo le società cooperative realizzare «contestualmente più tipi di scambio mutualistico»[24]. Inoltre, la CER cooperativa è sempre qualificabile almeno come di produzione quand’anche i suoi soci fossero solo consumatori energetici. Invero, tale cooperativa, per svolgere la propria attività mutualistica, si avvale «degli apporti di beni o servizi da parte dei soci» ai sensi dell’art. 2512, primo comma, n. 3, c.c.; apporti che, qualora la CER si limitasse a condividere virtualmente l’energia elettrica, avrebbero ad oggetto i dati informatici relativi ai loro consumi energetici. Occorre, inoltre, evidenziare che un importante vantaggio della CER cooperativa rispetto alla CER associazione è dato dalla possibilità di prevedere, nell’atto costitutivo della prima, l’emissione di strumenti finanziari secondo la disciplina prevista per le S.p.A. Tuttavia, la CER cooperativa è impossibilitata a provare la propria mutualità prevalente nel limitato caso in cui il proprio oggetto sociale contempli soltanto l’autoproduzione e la condivisione di energia da fonti rinnovabili e nel relativo scambio mutualistico la propria prestazione sia una quota dell’utile di esercizio; in effetti, nel caso di specie si dovrebbe applicare l’art. 2513, primo comma, lett. c), c.c., che prescrive la quantificazione della prevalenza solo in base a voci di costo rappresentate nel conto economico, entro le quali non può però computarsi una quota di utile.

 

Il contenuto di questo elaborato ha valore meramente informativo e non costituisce, né può essere interpretato, quale parere professionale sugli argomenti in oggetto. Per ulteriori informazioni si prega di contattare Piero Viganò, Giuliano Proietto e Tomaso Faà.

 

[1] Le caratteristiche del soggetto Referente delle CER sono stabilite nel § 1.2.2.1 delle Regole Operative.

[2] Secondo cui «la comunità è un soggetto di diritto autonomo».

[3] Tuttavia, in senso contrario, cfr. la delibera ARERA del 4 agosto 2020, 318/2020/R/eel ed il § 2.3 delle Regole tecniche per l’accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell’energia elettrica condivisa, del GSE, datate 4 aprile 2022, secondo cui una CER potrebbe essere costituita in forma di partenariato.

[4] Così, le somme pagate dal GSE sono da qualificare, contabilmente e civilisticamente, come ricavi o proventi per la CER, sicché, se si intende distribuire questi valori tra i membri della CER, occorre trasformarli in una parte dell’utile di esercizio.

[5] La condivisione, dunque, presuppone che la CER possa disporre dei dati relativi ai consumi di energia elettrica dei propri membri.

[6] Si pensi ad una CER che offre ai propri membri servizi di efficientamento energetico o di ricarica di automobili elettriche oppure ad una CER i cui membri decidano di destinare i benefici economici a soggetti diversi da loro o ad attività di interesse generale in favore della comunità ove la CER opera.

[7] Può perfino accadere che alcuni membri della CER non intendano avvalersi direttamente di alcuna delle attività svolte dalle CER, volendo magari solo finanziarle.

[8] È consigliabile, quindi, che l’atto costitutivo della CER (quand’anche non incentivata) preveda l’obbligo di alcuni dei suoi membri di diventare consumatori energetici, così assicurando il costante rispetto dell’art. 31, secondo comma, lett. b) del d.lgs. n. 199/2021, secondo cui «l’energia autoprodotta è utilizzata prioritariamente per l’autoconsumo istantaneo in sito ovvero per la condivisione con i membri della comunità […]».

[9] Cfr. il § 1.2.2 delle Regole Operative.

[10] Cfr. l’art. 2 dell’allegato della racc. 2003/361/CE del 6 maggio 2003, secondo cui «1. [l]a categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR. 2. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. 3. Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR».

[11] Considerato il loro carattere locale, si prescrive, come requisito aggiuntivo, solo per quest’ultima classe di membri, che gli enti in parola siano collocati «nel territorio degli stessi Comuni in cui sono ubicati gli impianti» di autoproduzione della corrispondente CER, ai sensi dell’art. 31, primo comma, lett. b) del d.lgs. n. 199/2021.

[12] Cfr. l’art. 2, punto 16), lett. a) della dir. 2018/2001/UE.

[13] Cfr., in particolare, gli artt. 10, primo comma, lett. b) e 31, primo comma, lett. b) e d).

[14] Tale regola, valevole in mancanza di diverse disposizioni più rigide previste per specifiche forme, è ricavata dall’intero ordinamento degli enti collettivi di diritto privato.

[15] Cfr. l’art. 31, secondo comma, lett. f) del d.lgs. n. 199/2021.

[16] Una situazione di questo tipo può accadere, ad esempio, quando la CER abbia la qualifica di ETS (stante l’art. 5 d.lgs. n. 117/2017) o di impresa sociale (stante l’art. 2 d.lgs. n. 112/2017).

[17] Cfr. il § 1.2.2 delle Regole Operative.

[18] Art. 1.1. lett. t) del TIAD.

[19] Art. 1.1. lett. r) del TIAD.

[20] Ai sensi del § 1.2.1.2 delle Regole Operative, i suddetti impianti devono comunque essere entrati in esercizio dopo la “regolare costituzione della CER” ovvero dopo “che lo statuto/atto costitutivo della CER rispetti tutte le indicazioni contenute” nelle Regole Operative.

[21] Cfr. l’art. 2, comma 25-terdecies del d.lgs. n. 79/1999, che definisce l’l’imprenditore elettrico come «ogni persona fisica o giuridica, esclusi i clienti finali, che svolge almeno una delle funzioni seguenti: generazione, trasmissione, distribuzione, aggregazione, gestione della domanda, stoccaggio, fornitura o acquisto di energia elettrica, che è responsabile per i compiti commerciali, tecnici o di manutenzione legati a queste funzioni».

[22] Grazie all’inciso finale degli artt. 8, terzo comma, lett. d) del d.lgs. n. 117/2017 e 3, secondo comma, lett. e) del d.lgs. n. 112/2017.

[23] Cfr. l’art. 2522, primo comma, c.c. Infatti, il secondo comma di tale norma, che consente di costituire una società cooperativa da parte di almeno 3 soci purché siano persone fisiche e purché la società adotti le norme della S.r.l., pone una limitazione soggettiva che contrasta con il requisito della libera partecipazione delle CER.

[24] Si veda l’art. 2513, secondo comma, c.c., che prevede la cd. “cooperativa mista”.

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